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Israele. Una Pasqua blindata

Il coronavirus blinda le prossime festività pasquali ebraiche e cristiane e lo stesso farà con tutta probabilità per il mese di Ramadan ai primi di maggio

Il governo israeliano ha approvato ieri sera una nuova serie di restrizioni in vista dei festeggiamenti a partire da stasera del Pesach (la pasqua ebraica) con nuove disposizioni che limitano ogni spostamento e impongono il blocco totale del traffico sino a venerdì prossimo. 

Misure rigidissime, quest’ultime, ritenute «necessarie» per impedire alle famiglie di religione ebraica, questa sera, di riunirsi per celebrare la tradizionale cena del Seder. «Assembramenti» che potrebbero favorire nuovi contagi da coronavirus. Un lockdown rafforzato dalle 15 di oggi pomeriggio esteso a tutti, ebrei ortodossi compresi.

Le norme impongono di restare nelle proprie abitazione e di uscire esclusivamente per reperire cibo, medicine o prodotti essenziali o per raggiungere i presidi sanitari. 

In pratica, restrizioni analoghe a quelle italiane e europee. Sino al 12 aprile, poi, non potranno circolare mezzi pubblici e aerei. Un’accelerata dovuta al preoccupante aumento di contagi.  Ovvia anche la preoccupazione che la festa ebraica possa aumentarne la diffusione.

«Il Pesach, la pasqua ebraica, è una festa che porta fuori di casa e riunisce le persone perché ricorda il passaggio alla libertà. Una festa che celebra la libertà dalla schiavitù; richiama uno dei periodi più tragici per il popolo ebraico ma anche il più importante: quando questo riuscì a mettersi in salvo, grazie alla fuga, dalla privazione dei più elementari diritti che precludevano la possibilità di movimento e di scelte. L’uscita dall’Egitto, ancora oggi – ricorda la giornalista Pupa Garribba su Riforma.it –, fu per noi ebrei un anelito di libertà; una libertà per la quale ancora oggi ci battiamo ogni giorno. Quella liberazione dalla schiavitù è tutt’ora un ricordo indelebile per religiosi e laici».

Per limitare i contagi da coronavirus si è dunque deciso di dividere, frazionare, Gerusalemme in sette distretti. 

Il traffico è tutt’ora limitato e controllato dalla polizia, autorizzata a far rispettare rigidamente le norme, questo perché il numero di persone infette continua inesorabilmente a salire e ieri ha raggiunto le 9.003 

60 persone sono morte per Covid-19; 153 versano in gravi condizioni e 113 sono quelle intubate.

Il Ministero della Salute ha imposto a tutti, di età superiore ai sei anni, di indossare mascherine in pubblico a partire dal prossimo 12 aprile e ricordato che sono in preparazione autocertificazioni speciali per leader religiosi e mascherine particolari per chi ha la barba, un dettaglio importante in un paese dove convivono fedi diverse e dove, il non radersi, rientra nelle tradizioni religiose.

La raccolta dei dati sui contagi e le condizioni sanitarie della popolazione israeliana sebbene stia andando a rilento è stata però ritenuta sufficiente per allertare il governo che ha mappato tutte le città e soprattutto i quartieri ritenuti più a rischio, come quelli dove risiedono gli ebrei ultraortodossi, che sono stati messi in cima alla lista per l’aumento esponenziale di malati e che hanno richiesto un’intensificazione di controlli e di presenza delle forze dell’ordine.

Israele ha confermato che i casi di coronavirus in soli due giorni (tra lunedì e martedì) hanno subito un aumento del 14%.  3.100 sono invece le persone multate per aver violato le restrizioni governative.

Sul fronte palestinese, con i 6 nuovi casi segnalati ieri, è salito a 260 il numero dei positivi al coronavirus nei Territori Palestinesi, Gaza compresa. Lo ha comunicato il ministero della salute dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), che ha ribadito la necessità di non uscire di casa se non in casi di estrema necessità.

Il governo israeliano ha imposto restrizioni anche per le imminenti celebrazioni della Pasqua cristiana e ortodossa, e molto probabilmente lo stesso farà anche in vista del mese di Ramadan che inizierà ai primi di maggio.

Il Pesach

La prima sera di Pesach le famiglie ebraiche si riuniscono intorno a un tavolo per celebrare il Seder, una cerimonia durante la quale si legge la Haggadah, il racconto dell’uscita degli ebrei dall’Egitto, arricchito di midrashim (parabole) e commenti dei Maestri, poi si conclude con una cena, canti corali di inni e melodie che si tramandano di generazione in generazione e di luogo in luogo: «Il Seder – ricordava Garribba su Riforma.it l’anno scorso – è una cerimonia di alto valore pedagogico dedicato in particolar modo ai giovani. Il libro che narra l’uscita dall’Egitto, l’Haggadah, è letto in ogni famiglia laica e religiosa; in questo modo è possibile tramandare e ricordare alle generazioni presenti e future che siamo liberi perché abbiamo scelto di spezzare le catene della schiavitù. La lettura dell’Haggadah si sviluppa proprio dalle domande dei più giovani commensali riuniti intorno al tavolo, che spesso pongono come prima domanda il perché quella sera – Pesach – sia diversa da tutte le altre sere. Una domanda fondamentale sulla quale si sviluppa il Seder».

«Per sette giorni mangerete pane azzimo, ma prima che giunga il primo, toglierete dalle vostre case ogni lievito; osserverete quindi questo giorno in tutte le vostre generazioni», si legge su Esodo 12, 15-17 per rivivere, nel tempo, il momento fatidico della liberazione dalla schiavitù e della loro rinascita come popolo libero. 

Gli ebrei utilizzano ancora oggi il pane azzimo per ricordare la fatica e le pene di quella faticosa traversata.

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