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Etica e cibernetica

I rischi per la privacy obbligano a ridefinire la nostra idea di “buon vivere”

Nel 399 a.C. il filosofo Socrate, considerato uno dei padri fondatori dell’Etica, scriveva: «La cosa più importante non è vivere, ma vivere bene». La maggior parte degli esseri umani cerca di evitare il “vivere male” ponendosi domande, cercando risposte e facendo le scelte di ogni giorno. Ma definire il “vivere bene” e soprattutto come raggiungere tale obiettivo rappresenta una delle principali domande a cui l’etica prova a rispondere da sempre

La tecnologia, intesa come artefatto umano, migliora la vita dell’uomo facendosi carico di azioni ripetitive e faticose per lasciarlo libero di focalizzarsi su compiti più complessi e meno stereotipati. Per esempio, in agricoltura, alleggerendo l’essere umano da lavori ripetitivi e faticosi, permettendogli di concentrarsi su compiti più complessi che, a loro volta, hanno contribuito in modo positivo all’evoluzione della tecnologia stessa. Il carro-merci trainato da cavalli, il successivo calesse, il treno a vapore e gli aerei di linea, hanno da un lato sollevato l’uomo dal faticoso processo di trasposto su lunghe distanze, dall’altro hanno permesso una mobilità più veloce e sicura abilitando a loro volta la nascita di nuove tecnologie e di nuove idee. Essendo quindi la tecnologia estremamente correlata al “vivere bene” risulta naturale considerarla direttamente associata all’etica, in quanto scienza dello studio del “vivere bene”. 

Tuttavia non è possibile aspettarsi dalla tecnologia un comportamento etico. Proprio perché essa non ha la percezione dei limiti imposti dalla cultura e dal “buon vivere” non è capace di darseli. Per esempio, anche il miglior sistema di deep-learning (una tecnica di intelligenza artificiale), prima di poter essere “avviato”, necessita di una fase iniziale di allenamento (con un training set, a esempio) la quale influenza radicalmente le sue decisioni. Proprio per questo motivo non è possibile considerare la tecnologia come “eticamente neutrale” in quanto dipende notevolmente dal suo “allenatore”. 

Ma non basta. Prendiamo come esempio la possibilità di influenzare le decisioni di politici, di organizzazioni e di privati cittadini attraverso piattaforme di partecipazione come Facebook, Twitter e YouTube, oppure la capacità di poche organizzazioni di possedere informazioni specifiche su ognuno di noi e poterle sfruttare a fini socio-economici. Oppure proviamo a pensare a come gli enti governativi che possedendo tali informazioni possono sfruttare questa “intelligenceavanzata” per favorire decisioni strategiche sia economiche sia geo-politiche.

La Cybersecurity, intesa come la scienza che studia il fenomeno degli attacchi informatici che mirano a cambiare il naturale comportamento del sistema bersaglio è, in base a tali assunzioni, al centro di un problema etico. Un problema etico si presenta quanto vi è la possibilità di avviare un’interferenza sul “vivere bene” di una o più persone. Considerando che sistemi nucleari, sistemi navali, dispositivi clinici e infrastrutture critiche possano subire attacchi informatici che ne modificano il comportamento, è evidente come la Cybersecurity sia profondamente legata a tematiche di natura etica. Per questo motivo è necessario considerare la Cybersecurity come elemento centrale nell’etica del digitale e comprendere quali siano le principali domande da porsi. 

Uno dei problemi etici più importanti inerenti alla Cybersecurity riguarda la privacy. Ottenere informazioni di natura personale può consentire a un attaccante di sostituirsi digitalmente alla vittima, avviando false transazioni e/o manipolando conversazioni, fino a ricattarla. Pertanto non considerare tali problematiche come prioritarie, come per esempio dedicando una piccola porzione del budget aziendale alla difesa del proprio spazio cibernetico, è considerabile un problema etico? Probabilmente sì.

Il danneggiamento della proprietà privata o l’intrusione dentro una proprietà privata è un altro classico problema di Cybersecurity. Pensiamo a un attacco di tipo ransomware che invade il nostro “privato” cifrando i nostri documenti, le fotografie di famiglia bloccando i nostri account e chiedendo un riscatto per riavere quello che, naturalmente è nostro. Non avendo nessuna alternativa, che cosa si potrebbe fare? Pagare il riscatto risulta un’azione etica? E nel caso in cui l’attaccante abbia compromesso dei dati fondamentali per la vita della nostra azienda?

La trasparenza risulta essere un altro grande problema etico nell’era del digitale. Avvisare il pubblico rispetto a una nuova vulnerabilità al fine di allertare tutti gli utilizzatori per metterli in guardia e per suggerire loro una possibile soluzione, oppure avvisare semplicemente il costruttore (vendor) affinché rilasci un aggiornamento nel minor tempo possibile?

Il nostro mondo reale non è più singolarmente proiettato al mondo fisico, ma è diventato l’unione tra il mondo fisico (dove ci nutriamo, dove respiriamo, dove camminiamo), e quello digitale (dove impariamo, dove condividiamo, dove comunichiamo). Di conseguenza il “buon vivere” di oggi non è più come all’epoca di Socrate un “buon vivere” affine al rapporto fisico, ma è un “buon vivere” che dipende fortemente dal “buon vivere digitale” e la Cybersecurity è un elemento fondamentale per garantire il “buon vivere digitale”. Per questo è necessario includere tale disciplina in un nuovo framework etico indipendente dallo spazio e dalla cultura e al contempo rispettoso dell’essere umano e consapevole che la tecnologia non può essere eticamente neutra.

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