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I primi 5 anni della Casa delle culture di Scicli

Luogo di accoglienza in sicurezza prima per minori e oggi per le famiglie  dei "corridoi umanitari". Intervista alla coordinatrice Giovanni Scifo

Era il 12 dicembre 2014 quando aprì per la prima volta i battenti la Casa delle culture di Scicli, in provincia di Ragusa, una delle attività di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Cinque anni fa la struttura ospitava fino a 40 minori non accompagnati, oggi è diventata la casa delle famiglie – ad oggi 12 adulti e 13 bambini – che arrivano in Italia grazie ai corridoi umanitari. Abbiamo chiesto a Giovanna Scifo, coordinatrice della struttura siciliana, dove lavorano 9 operatori sociali, un breve “bilancio” e un ritratto di questi primi cinque anni di attività.

Com’è cambiato il progetto dal 2014?

«E’ cambiato quasi del tutto nel senso che passando da occuparci di minori ad accogliere per lo più famiglie e donne, mutano le esigenze e la quotidianità di chi ospitiamo. Siamo cresciuti, ed è questo per noi un elemento molto importante, e siamo riusciti a fare rete con il territorio. Il progetto è oggi apprezzato da associazioni e cittadini, che ci coinvolgono in ogni iniziativa. Non siamo mai soli. E fare comunità insieme è proprio l’obiettivo primario che continuiamo a porci».

Una capacità di fare rete che la Casa delle culture si è dovuta conquistare “sul campo”. All’inizio di questa avventura non sono mancati episodi di razzismo: come li avete superati?

«Quello fu anche il momento più difficile per noi. Quando fummo informati che c’era una raccolta firme in corso contro la nascita della Casa delle culture, prima ancora che il nostro progetto partisse, prima ancora che si sapesse chi sarebbero stati i nostri ospiti. Ecco, non nego che provai rabbia di fronte a quell’iniziativa ma non ci siamo mai fatti intimorire. Oggi però siamo felici che tante persone a Scicli si siano completamente ricredute. I commercianti che temevano forse una ricaduta negativa per loro hanno capito che la nostra presenza, la presenza delle persone migranti che vivono presso la struttura Fcei, in pieno centro, è una ricchezza.

La Casa delle culture è del territorio, è diventata il punto di riferimento dei migranti ma anche dei cittadini di Scicli che hanno bisogno. Anche per le donne pensiamo che sia stato e sia tuttora importante l’impegno del progetto: non a caso la Casa delle donne di Scicli è nata anche grazie alla Casa delle culture. E anche oggi ospitiamo alcune donne single che vivono condizioni di disagio o difficoltà e che stanno compiendo un percorso per autodeterminarsi».

Qual è stato il momento più bello di questi 5 anni? 

«Il ricordo più felice che ho è quando, nel novembre 2014, andammo a prendere gli 8 ragazzini che avremmo ospitato, si trovavano al centro di primissima accoglienza di Pozzallo e non potrò mai dimenticare la lor felicità nell’incontrarci e nel sapere che li avremmo portati via da lì e accolti in una sorta di grande famiglia allargata».

E il futuro?

«Siamo ancora “piccoli”ma l’obiettivo è quello di trasformare sempre di più la realtà siciliana in cui viviamo ed operiamo. E i segnali positivi ci sono tutti: ogni volta che lanciamo un appello, la cittadinanza risponde subito, con entusiasmo. E’ questo che ci interessa: promuovere il prendersi cura degli altri, prendersi cura della comunità. Creare rete, solidarietà dal basso. E non siamo stati noi operatori a riuscire in questa sfida. Il merito è dei ragazzi, dei nostri ospiti, che sono andati a scuola, che ci hanno messo la loro faccia e i loro sorrisi, e hanno conquistato, alla grande, tutte le persone che hanno incontrato».

 

 

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