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Le parole giuste per annunciare l'amore di Dio: intervista a Hans Martin Barth

Il professore e teologo ospite del convegno "Dire Dio Oggi". L’intervista va in onda nell’ambito della trasmissione “Vita delle chiese” a cura di Daniela Grill, mercoledì 27 novembre alle ore 17

Abbiamo incontrato, nella sede di Radio Beckwith, Hans Martin Barth, professore di teologia sistematica e di filosofia delle religioni all’Università di Marburg, la più antica università protestante fondata nel 1527, in occasione del convegno “Dire Dio Oggi”, che si svolgerà a Torino nei giorni 28 e 29 novembre dalle ore 9,30 presso la Casa Valdese, corso Vittorio Emanuele II, 23. 

Il Convegno è organizzato dal Centro culturale protestante di Torino e dal Centro  teologico di Torino ed è accreditato per gli studenti del corso di laurea in Scienze bibliche e teologiche della Facoltà valdese di teologia. 

Il convegno parte da una riflessione generale sui mutamenti che investono l’esperienza religiosa tradizionale e sulle difficoltà che le religioni attraversano nella società. Sono previsti interventi di: Federico Vercellone, Massimo Cacciari, Giovanni Filoramo

, Luca Savarino, Gabriella Caramore, Letizia Tomassone, Paolo Ribet, Fulvio Ferrario, Paolo Naso e Hans Martin Barth.

Nel dare il benvenuto al professor Barth, che parla bene l’italiano, abbiamo ricordato la sua precedente visita a Luserna San Giovanni nel 1961 quando, studente alla Facoltà valdese di teologia, proprio nel tempio valdese predicò per la prima volta in un culto pubblico. La nostra conversazione si è sviluppata intorno al suo intervento, previsto per venerdì 29 novembre in cui approfondirà quanto ci ha anticipato.

Siamo partiti riflettendo sulle difficoltà del Cristianesimo nella società contemporanea. Nella sua relazione Barth afferma che non è mai stato sufficiente dire “Dio” senza qualche commento o spiegazione perché, da una parte, è un termine molto carico di significati, attribuiti dalle diverse fedi ma, dall’altra, è anche una parola vaga. In altri termini potremmo anche riferirci alla distinzione tra religione e fede per cercare di capire come articolare la nostra testimonianza evangelica nello spazio pubblico.

Ci ha risposto che la principale difficoltà del “discorso cristiano” è soprattutto l’indifferenza. Poi vi sono anche altre ragioni, come l’ateismo oppure il naturalismo. Secondo Holm Tetens, filosofo a Berlino, il naturalismo è oggi “l’avversario principale della fede in Dio” perché si basa prima di tutto sui processi dell’evoluzione come visti da Richard Dawkins e da Franz M. Wuketits, cioè sul primato della scienza che comprende anche i fattori psicologici o sociologici. Per i naturalisti tutto si sviluppa naturalmente. Ma poi anche gli atei scoprono la spiritualità: Harvey Cox, che ha incontrato e conosciuto all’università di Harvard, era solito dire che il motto religioso nuovo negli Stati Uniti è “spiritual, but not religious”.

Un esempio che gli ho riportato è la notizia di qualche giorno fa apparsa sui giornali (20 novembre 2019) secondo cui in Italia vi è stato nel 2018 il  “sorpasso storico” (dati Istat) dei matrimoni civili rispetto a quelli celebrati in chiesa (tranne che per le prime nozze dove il primato spetta ancora alla Chiesa). Barth ha sottolineato che in Germania hanno un problema differente, cioè un alto numero di funerali che non vengono celebrati in chiesa, talvolta seguono un rito laico ma in alcuni casi non vi sono parole che accompagnano la sepoltura. Un ateo a Marburgo, che organizza funerali laici, fa cantare alla fine del funerale la canzone “Am Brunnen vor dem Tore / da steht ein Lindenbaum” (Alla fontana presso la porta, lì c’è un tiglio …), una canzone romantica popolare dell’ottocento. C’è una spiritualità atea che porta a condividere momenti di convivialità: anche gli areligiosi stanno imparando che riti e rituali possono essere utili.

Abbiamo poi cercato di riflettere se vi siano “parole giuste” per annunciare l’amore di Dio nella società contemporanea. Barth ritiene che parlare dell’amore di Dio non sia più sufficiente perché non dice molto ai nostri contemporanei. Ci dobbiamo invece interrogare su quali siano le parole che portano a Gesù. È la dinamica trinitaria che caratterizza il concetto cristiano di Dio. L’impulso è scatenato da Gesù Cristo, comunicato dallo spirito santo, recepito dalla capacità dell’essere umano – questi tre elementi corrispondono all’economia trinitaria, come si dice nella terminologia teologica. Cosa significa questo? Riuscire a coinvolgere le persone testimoniando l’origine dell’amore che Dio nutre per ognuno e ciascuna di noi, tornare alla fonte di questo amore e rendersi prossimi agli altri, innescando una dinamica relazionale che non può lasciare indifferenti, che ci dona il senso della vita. Nel suo intervento, che leggerà durante il convegno, Barth suggerisce di “trasformare il sostantivo ‘Dio’ in un verbo”, e questo è molto bello perché introduce dinamismo e apertura verso gli altri, verso la diversità.

Durante il convegno si parlerà anche del femminile divino con Letizia Tomassone. La riflessione sul “gender” nella teologia, in particolare nella teologia femminista, ci ha aiutato a leggere la Bibbia in modo inclusivo e aperto a nuove interpretazioni. Il “gender” però è un termine difficile che può anche essere divisivo. Abbiamo chiesto a Barth in che modo può rappresentare invece una occasione di confronto e di dialogo, anche ecumenico. Ci ha risposto che anche in Germania è un tema di cui si dibatte in diversi ambienti, soprattutto tra donne. Le teologhe cattoliche hanno obiettivi diversi rispetto alle teologhe protestanti, l’importante è però il confronto. Rimane un tema marginale, il dibattito ecumenico dovrebbe concentrarsi su altri punti, quali la giustificazione per fede. Ma le donne potrebbero invece ritenere che è un tema centrale.

Infine, abbiamo chiesto a  Barth, che ha insegnato teologia in diverse università straniere, di lanciare un messaggio ai giovani che volessero intraprendere gli studi teologici. Ci ha parlato dell’importanza delle esperienze in diversi paesi e in diverse culture, dal Giappone alla Corea e ci ha raccontato delle problematiche affrontate dalle chiese protestanti negli Stati Uniti. In un certo senso è importante che il pastore del futuro, la pastora del nuovo millennio sia poliglotta, non solo in senso linguistico, ma anche in senso spirituale, sia cioè in grado di far dialogare le diverse sensibilità teologiche e spirituali perché le comunità sono sempre più variegate e composite. 

 L’intervista va in onda nell’ambito della trasmissione “Vita delle chiese” a cura di Daniela Grill, mercoledì 27 novembre alle ore 17 su rbe.it.

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