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Tutto iniziò con Jerry Masslo

Trent'anni fa a Villa Literno l'omicidio del profugo, bracciante nella raccolta dei pomodori e predicatore battista

Trent’anni fa, il 25 agosto del 1989, moriva Jerry Essan Masslo, un profugo sudafricano di trent’anni, ucciso a Villa Literno (Ce) da una banda di criminali che gli aveva rubato i frutti di alcuni mesi di lavoro come bracciante impegnato nella raccolta di pomodoro. A trent’anni da quell’omicidio sentiamo di poter affermare che “tutto” iniziò con quella storia drammatica. Con questo “tutto” vogliamo dire che prima di quell’omicidio l’Italia non capiva la portata del fenomeno immigratorio. Non solo l’Italia della politica ma anche quella degli studiosi e degli addetti ai lavori che non sembravano cogliere la portata della novità che attraversava la società italiana: il paese, storicamente di emigrazione, era ormai diventato meta di centinaia di migliaia di immigrati che si inserivano in alcuni “interstizi” del mercato del lavoro nazionale. Tra questi il lavoro agricolo nel Sud, con paghe basse e vivendo nella precarietà di visti per “turismo”. All’epoca, solo in pochi – vorrei fare i nomi di sociologi come Giovanni Mottura e Enrico Pugliese – coglievano la dimensione strutturale e permanente di quel fenomeno. Per lo più si sentiva dire che era un processo contingente e reversibile perché l’Italia, quasi per destino e fato, “non era un paese per immigrati”. Sappiamo che non è andata così e oggi, con il suo 8% di popolazione immigrata, il nostro è tra i paesi a più alta densità migratoria in Europa.

Diversamente da quanto è accaduto negli anni successivi, l’omicidio di Jerry Masslo non passò inosservato e, su richiesta della Cgil, gli furono tributati funerali di Stato. Le immagini ufficiali che ci arrivano da quella cerimonia raccontano di un’Italia che sa ancora piangere un immigrato e che riesce ad ascoltare il suo grido. Come quello che solo qualche giorno prima di morire Jerry aveva lanciato dalle telecamere di Nonsolonero, un programma di Rai2 sull’immigrazione che oggi è difficile persino immaginare nel palinsesto della Tv pubblica: «Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile – dichiarò Jerry –. Il razzismo è anche qui... Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo».

Altre cose, invece, non furono dette, per esempio che Jerry era un predicatore battista. Ciononostante, forse a causa del pregiudizio per cui in Italia un cristiano è “naturalmente” cattolico o per la logica istituzionale di un funerale di Stato che sembrò non potersi celebrare se non nel rito cattolico, Masslo non ebbe il funerale evangelico che avrebbe desiderato. Fu un brutto incidente per l’ecumenismo, ben denunciato dai vertici delle chiese battiste. Ma nella storia di Jerry ci fu anche un gesto ecumenico, quello dei giovani della Comunità di Sant’Egidio che lo avevano conosciuto, ne avevano seguito la vicenda e, saputo della sua fede evangelica, gli regalarono una copia della Bibbia nella versione della English standard. Chi voglia, la trova insieme ad altre su un altare della chiesa di Trastevere dove ha sede la Comunità di Sant’Egidio, e sfogliandola troverà appunti e sottolineature.

Con Jerry, idealmente, inizia anche un altro processo, quello generalmente definito “Essere chiesa insieme” e che ha portato sulle panche delle chiese evangeliche italiane migliaia di fratelli e sorelle immigrati.

Quell’omicidio e un’ampia mobilitazione per i diritti degli immigrati aprirono anche un processo politico che, in pochi mesi, portò all’approvazione della prima legge organica in materia di immigrazione, la famosa “Martelli”, un provvedimento che confrontato a quelli successivi ancora oggi ci appare innovativo e coraggioso.

L’anniversario della morte di Jerry Masslo ci impone una riflessione su ciò che, come popolo e come chiese, siamo diventati in questi anni. Chiamiamolo un “bilancio etico” della nostra civiltà politica e della nostra testimonianza evangelica nei confronti degli immigrati

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