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Primo Levi: un'opera aperta

Il 31 luglio 1919 nasceva a Torino lo scrittore che narrò e analizzò Auschwitz

Il racconto di Auschwitz che Primo Levi ci ha proposto per più di quarant’anni a partire da Se questo è un uomo ha la forza della verità storica: precisa, inconfutabile. È il racconto pacato e su diversi registri di un “mondo capovolto”, per descrivere il quale l’autore ha dovuto mettere a punto un linguaggio specifico nella speranza di riuscire a rappresentare almeno in parte i suoi caratteri estremi. Di ogni aspetto di quella realtà Levi non ha mai cessato di mettere in luce la dimensione morale, lasciando però libero il lettore di esprimere il proprio giudizio. Così come ha cercato in ogni momento di contrastare la cristallizzazione in stereotipi delle immagini del Lager via via proposte da lui stesso o da altri, perché quel passato rimanesse vivo nel ricordo e potesse agire utilmente su chi sarebbe venuto dopo.

L’efficacia del discorso di Levi ha colpito da subito i lettori dei suoi libri e gli innumerevoli interlocutori con cui ha dialogato soprattutto nelle scuole, in tanti incontri avuti a partire dai primi anni ‘60. Ma a colpire è stata anche la determinazione con cui ha iniziato da subito dopo il ritorno a parlare delle proprie esperienze, e il coraggio con cui non ha esitato ad affrontare anche gli aspetti più paradossali e scomodi della deportazione: come nei saggi che compongono I Sommersi e i salvati, libro uscito nel 1986 e frutto di una lunga elaborazione: fra gli altri temi affrontati, a esempio, il perché i sopravvissuti provassero vergogna senza avere colpa delle violenze subite o il come i nazisti fossero riusciti a imporre ai deportati forme diverse di collaborazione alla propria rovina.

Primo Levi ha dunque lasciato un segno profondo nella cultura contemporanea grazie alla sua testimonianza, unica per nitore e ricchezza. Ma con il passare degli anni i critici e il pubblico – anche il grande pubblico in Italia e all’estero – hanno fatto una scoperta ulteriore. Apprezzando gli altri libri che l’autore via via pubblicava – La tregua, i racconti fantascientifici di Storie naturali eVizio di formaIl sistema periodicoSe non ora quando?e altro ancora – hanno colto, pur con notevole ritardo perché tendeva a sovrapporsi l’immagine del testimone, la grandezza dello scrittore, uno dei maggiori dell’Italia contemporanea. C’era dunque una buona ragione del perché il suo racconto su Auschwitz mostrasse di durare così a lungo, di saper parlare alle diverse generazioni che si andavano succedendo: già il primo libro sul Lager, pur scritto da un ragazzo di 27 anni, era infatti uscito dalla penna di un narratore dotato di indiscutibile originalità, padronanza della parola e forza immaginativa.

Ma le scoperte non si esaurivano in questo. Ognuno dei libri di Levi apriva al lettore una prospettiva diversa e ricca di riflessi inediti sul mondo contemporaneo. La tregua illuminava l’Europa devastata, confusa e piena di speranze dell’immediato dopoguerra. Il sistema periodico intrecciava come nessuno aveva saputo fare la scienza e i suoi linguaggi alle tante dimensioni della vita degli esseri umani nel nostro mondo di oggi. La chiave a stella gettava uno sguardo a un tempo profondo e divertito sulla rilevanza essenziale del lavoro nella vita dell’uomo. I racconti e i tanti articoli su giornali e riviste, ripresi spesso in volume, aprivano un caleidoscopio di ritratti, di riflessioni pregnanti e argute su altrettanti aspetti dalla vita di ognuno nella nostra società.

Tutto questo grazie ad una peculiare capacità di osservazione, così come già era stato in Se questo è un uomo, presentato sin dall’introduzione non solo come un resoconto di Auschwitz, ma, proprio grazie alla particolarità estrema di Auschwitz, come un’occasione irripetibile di osservazione pacata di molti aspetti dell’animo umano. Un’osservazione però mai fine a se stessa. Ogni testo di Levi, e a maggior ragione i suoi interventi pubblici svolti di fronte a interlocutori diversissimi e soprattutto giovani, erano concepiti nell’intento di avviare uno scambio, un dialogo. Sollecitavano una risposta, sia che quella risposta arrivasse direttamente allo scrittore sia che innescasse un confronto intimo nell’animo del lettore o dell’ascoltatore.

A rendere possibile il dialogo era – ed è ancora nei testi che Levi ci ha lasciato – la capacità di rappresentare la realtà quotidiana o le grandi questioni del nostro tempo nella loro intrinseca ambiguità. Non che Levi rinunciasse a manifestare le proprie convinzioni – a esempio la sua visione laica e positiva della vita, la sua vocazione a guardare diritto in faccia al male e al dolore estremi. Più che altro era convinto che ogni risposta andasse misurata caso per caso e che era meglio lasciare aperto un problema piuttosto che chiuderlo in modo affrettato e consolatorio.

Per tutto questo la sua opera, forse ancora di più oggi che la consapevolezza del suo valore è cresciuta, si presenta come un’opera aperta. Aperta alle ricerche degli studiosi: come è, a esempio, nelle dieci Lezioni Primo Levi organizzate negli anni passati dal Centro Primo Levi di Torino e che saranno pubblicate integralmente presso Mondadori il prossimo ottobre: altrettanti scandagli da punti di vista originali, destinati a mettere in valore non solo il testimone e lo scrittore, ma l’uomo di pensiero. Un’opera aperta anche alla curiosità e alle riflessioni di chiunque le si avvicini, in grado di scoprire alla prima lettura o all’ennesima rilettura sempre nuove occasioni per pensare.

 
Foto: Primo Levi con la scrittrice Francesca Sanvitale in occasione di un'edizione del Premio Strega

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