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Ascoltare il gemito della creazione

Un giorno una parola – commento a Ebrei 11, 3

Il Signore rispose a Giobbe: “Dov’eri tu quando io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza”. Allora gli dissi: “Fin qui tu verrai, e non oltre; qui si fermerà l’orgoglio dei tuoi flutti”
Giobbe 38, 4-11

Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; così le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti
Ebrei 11, 3

«Dio disse: Luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era bella» (Genesi 1, 3-4). «I cieli furono fatti dalla Parola del Signore» (Salmo 33, 6) e «raccontano la gloria di Dio» (Salmo 19, 1). Eppure la voce della terra, anziché essere un canto di lode per Dio, è diventata un gemito di dolore. «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio e geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Romani 8, 19-22). È una immagine per descrivere il dramma, ma anche il dinamismo dell’evoluzione della creazione: essa è tutto un gemito, come un’immensa doglia del parto. La creazione aspira a qualcosa di diverso. È in una situazione in cui la vita sta per manifestarsi attraverso dolori e sofferenze. Ma questa aspettativa non riesce a realizzarsi pienamente.

Ci troviamo in una situazione molto simile a quella del popolo ebraico ancora schiavo in terra d’Egitto! Siamo schiavi del non-senso. Siamo schiavi quando ci abbandoniamo all’odio, alla violenza, alla discriminazione, al nostro quieto vivere senza avere il coraggio di schierarci dalla parte di quell’umanità e dell’intera creazione che geme perché vuole essere liberata dalla schiavitù degli idoli (finanza, poteri, vanagloria) che provocano fame, violenza, sfruttamento, inquinamento, ecc...

Il Signore ci invita ad ascoltare il gemito della creazione, a percepire col nostro orecchio quel gemito che, proprio perché è un gemito, non si esprime con suono altisonante. La parola di Dio può illuminarci e metterci in condizione di comprendere quello che coloro che si reputano sapienti in questo mondo (Romani 1, 22) non riescono a comprendere.

«Dov’eri tu quando io fondavo la terra?». Questa domanda ci interpella profondamente. «Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora l’occhio mio ti ha visto. Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere» (Giobbe 42, 5-6).

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