Ventimiglia, vecchi e nuovi problemi
23 luglio 2019
Proseguono i “respingimenti” da parte delle autorità francesi: intanto la condizione più complessa è quella di chi, pur essendo già in Italia, si è trovato “in strada” a causa dei nuovi provvedimenti in materia di sicurezza
Come si dice da tempo Ventimiglia, ultima cittadina ligure prima della frontiera francese, è una delle cartine di tornasole dello stato dell’arte del fenomeno migratorio nel nostro Paese. Qui giunge chi cerca di proseguire il proprio personale viaggio, verso Francia e Inghilterra soprattutto. I numeri degli arrivi non sono più quelli del 2015 e del 2016, dato il calo degli sbarchi nel Mediterraneo e gli ostacoli lungo la rotta balcanica. Sono scomparsi gli accampamenti informali attorno alla stazione o lungo via Tenda, la strada che taglia il quartiere delle Gianchette e dopo una lunga marcia di oltre 4 km conduce al Campo Roja, unico centro per migranti in transito della zona, gestito dalla Croce Rossa, lontano dal centro abitato.
«Ma mi sento di dire che la situazione sia peggiore oggi rispetto ad allora, e non di poco – racconta Christian Papini, responsabile della Caritas locale –. Ciò perché le persone che arrivano qui non sono più appena sbarcate e quindi, pur nelle difficoltà, ancora animate da uno spirito di speranza. Per via delle nuove norme in materia di sicurezza oggi incontriamo soprattutto chi già si trovava in Italia, magari inserito in un percorso di accoglienza, sociale, scolastico, lavorativo, e che da un giorno all’altro si è trovato di nuovo per strada. Lo stress psicologico dovuto alla frustrazione nel veder interrotto un percorso di integrazione si somma dunque ai sempre maggiori disagi riscontrati in coloro che arrivano in questi mesi in fuga dai campi di detenzione libica, all’interno dei quali hanno visto e subito cose inimmaginabili».
La sede della Caritas continua a preparare centinaia di pasti al giorno, a raccogliere indumenti e offrire alloggiamenti provvisori. Da inizio giugno una stanza è riservata allo sportello socio-legale che la Diaconia valdese ha aperto per aiutare le persone a orientarsi fra le norme e poter così rivendicare i propri diritti. Una collaborazione ecumenica sul campo. «Cerchiamo di intercettare chi transita in zona, ascoltiamo le loro storie, tentiamo di aiutarli in maniera fattiva anche nella ricerca di un lavoro, così da poter farli rimanere qui dove hanno avviato un nuovo progetto di vita – ci dice Simone Alterisio, operatore della Diaconia valdese –. Oltre all’avvocato è garantita la presenza anche di una psicologa, proprio per far fronte alle varie criticità che stiamo riscontrando in maniera crescente».
Intanto la situazione lungo il confine rimane sempre tesa: sono decine i respingimenti giornalieri messi in atto dalle forze di polizia francesi nei confronti di chi viene intercettato oltre frontiera, compresi minori, con pratiche di detenzione che violano le norme in materia, come denunciato ancora una volta, con una lettera (che ricalca quanto già denunciato nel 2018 dalla Diaconia valdese, da Oxfam e Asgi) inviata il 16 luglio alla Procura di Nizza da un largo numero di associazioni, da “Médecins du Monde” a “Oxfam”, da “Secours Catholique” alla “Cimade” (l'organizzazione umanitaria legata alle Chiese protestanti francesi), fino a “We World”, il cui operatore Jacopo Colomba ci aiuta a tracciare uno schizzo delle tipologie di persone incontrate lungo il confine: «Fino allo scorso anno il 99% delle persone incontrate arrivavano dallo sbarco lungo le nostre coste. Ora la maggior parte arriva qui perché è uscito dal circuito di accoglienza in Italia e da un giorno all’altro si ritrova in strada (si tratta soprattutto di cittadini di nazioni dell’Africa subsahariana). Ci sono poi i “dublinati”, rispediti qui dagli altri Paesi europei (in base, appunto, al Regolamento di Dublino del 2003) in quanto l’Italia è stato il loro primo luogo di arrivo e qui vanno registrati e gestiti. Permane una percentuale che ovviamente arriva dagli sbarchi che mai si sono fermati del tutto, mentre notiamo una ripresa della rotta balcanica, per lo più curdi ma anche algerini e marocchini che tentano di passare via terra».
Il monitoraggio continuo alla frontiera di ponte San Luigi consente di esser testimoni oculari dei giornalieri soprusi da parte delle forze dell’ordine: alle azioni della Gendarmerie si sommano i bus organizzati una o due volte alla settimana dalla questura di Imperia: i ragazzi respinti e quanti non hanno documenti validi vengono caricati su pullman e condotti all’hotspot di Taranto, «compresi minori o persone con documenti regolari ma che non sanno magari spiegare la loro situazione – racconta Simone Alterisio –. Dall’hotspot possono uscire e ovviamente tutti spariscono nell’arco di 24 ore e ricominciano il loro viaggio, sempre più frustrati». Di anno in anno dunque tutto cambia perché nulla cambi, e questo sulla pelle di donne e uomini che hanno il solo torto di esser nati a un’altra latitudine.