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Hong Kong. Il ddl sull’estradizione “è morto”

Lo ha dichiarato il capo dell’esecutivo Carrie Lam, ma gli oppositori non si fidano. Per l’attivista cristiano Joshua Wong si tratta di una menzogna, in quanto il disegno di legge non è stato ritirato in via definitiva

Il 9 luglio scorso nel corso di una conferenza stampa, Carrie Lam, a capo del Consiglio legislativo (LegCo) di Hong Kong, ha dichiarato che il controverso disegno di legge sull’estradizione (https://riforma.it/it/articolo/2019/06/13/hong-kong-rinviata-la-legge-su...) “è morto”, e che l’operato del governo sul provvedimento è stato un “totale fallimento”. Tali dichiarazioni però non hanno rassicurato analisti e oppositori che sottolineano che la bozza di legge non è stata ritirata in via definitiva, come chiesto dai manifestanti che nelle ultime settimane hanno preso parte a diverse proteste di massa.

Carrie Lam, parlando ai cronisti prima di un incontro con i membri del Consiglio esecutivo (ExCo), ha dichiarato: «Vi sono ancora dubbi sulla sincerità del governo o preoccupazioni sul fatto che l’esecutivo possa riavviare il procedimento presso il Consiglio legislativo. Quindi lo ripeto qui, non esiste un piano del genere. La bozza di legge è morta». Ma ha poi aggiunto: «In un certo senso, anche se [il disegno di legge] viene ritirato oggi, può essere ripresentato al Consiglio legislativo entro tre mesi».

Poco dopo la conferenza stampa, l’attivista cristiano Joshua Wong, segretario generale del movimento democratico Demosisto, ha detto: «è una ridicola menzogna per il popolo di Hong Kong definire “morto” il disegno di legge, mentre rimane ancora nel programma legislativo. Sono stufo del gioco di parole di Carrie Lam, che continua a rifiutarsi di promettere il “ritiro” formale della contestata legge nonostante la protesta pubblica».

Sotto la Fugitive Offenders and Mutual Legal Assistance Legislative (Amendment) Bill 2019 (“il disegno di legge sull’estradizione”), i cittadini del Territorio e gli stranieri che vi soggiornano o transitano potrebbero essere estradati in qualsiasi altra giurisdizione del mondo; sono compresi i Paesi che non hanno ancora firmato o attuato il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr), su tutti la Cina. I critici sostengono che la legge comprometterebbe l’indipendenza giudiziaria di Hong Kong e potrebbe essere usata per colpire quanti si oppongono al governo di Pechino.

Nelle ultime settimane, la campagna popolare contro la proposta di legge tiene in scacco l’ex colonia britannica. Molti gruppi hanno dichiarato di voler continuare proteste e sit-in, chiedendo le dimissioni del capo dell’esecutivo, Carri Lam.

Da molte parti vi è stata la richiesta al governo di ascoltare la frustrazione della popolazione di Hong Kong. La scorsa settimana i rappresentanti delle sei maggiori religioni di Hong Kong in un appello rivolto ai giovani e ai manifestanti hanno chiesto di resistere alla tentazione di compiere azioni violente. «Chiediamo al popolo di Hong Kong di boicottare qualsiasi atto che mini la legge e minacci la pace, e ogni violenza che possa nuocere agli altri; chiediamo a tutti di esprimere le proprie opinioni in modo pacifico», si legge nell’appello.

Anche la Chiesa anglicana di Hong Kong ha dichiarato il governo responsabile dei disordini, dal momento che ha “ignorato” le istanze dei cittadini. «Siamo fermamente contrari all’uso della violenza che causerà lesioni fisiche, traumi mentali e odio», hanno affermato i vescovi. «La chiesa è determinata a dire “no” alla violenza. Speriamo che tutte le persone, specialmente i cristiani, rispettino la legge e l’ordine sulla base dell’amore e della pace».