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La buona speranza donata da Dio

Un giorno una parola – commento a II Tessalonicesi 2, 16-17

Signore, Dio degli eserciti, ristoraci, fa’ risplendere il tuo volto e saremo salvi
Salmo 80, 19

Ora lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio nostro Padre, che ci ha amati e ci ha dato per la sua grazia una consolazione eterna e una buona speranza, consoli i vostri cuori e vi confermi in ogni opera buona e in ogni buona parola
II Tessalonicesi 2, 16-17

Il Nuovo Testamento non annuncia l’amore di Dio senza proclamarlo realizzato e concreto nella persona di Gesù Cristo. Addirittura, in questo passo la proclamazione della signoria di Gesù Cristo anticipa e accompagna il messaggio dell’amore del Padre. Perciò, qualsiasi annuncio o dichiarazione dell’amore di Dio deve essere fatto nel concreto, cioè in Gesù Cristo. Se non diciamo questo nome di persona concreta, qualsiasi annuncio dell’amore di Dio resta a mezz’aria, teorico e rarefatto, vuoto slogan.

Il Padre rivelato dal Figlio (che possiamo chiamare Padre nostro perché è Padre eterno del Figlio eterno, e il Figlio lo rivela come Padre a tutti quelli che sono in lui) ci dona consolazione eterna e una buona speranza.

La consolazione non è una parola dolce. In Isaia 40 è descritta come un terremoto al contrario: della stessa forza, ma costruttiva e non distruttiva. Il mondo davanti agli occhi del popolo di Dio è distrutto e devastato, ma viene improvvisamente riedificato dalla potenza del Signore. Questa è la consolazione: la conoscenza di un’opera potente ed efficace, che trasforma l’orizzonte e la sorte del popolo di Dio.

La buona speranza, che in questo passo è legata alla consolazione in modo non casuale. Se la consolazione è l’effetto dell’opera di Dio rivelata (e possiamo credere perché il mistero ci è stato rivelato, cioè crediamo in Chi si è fatto conoscere da noi), la speranza è la serena consapevolezza che l’opera di Dio rivelata sarà presto evidente. La buona speranza è fede che guarda consapevolmente al futuro, a quel futuro prossimo di Dio che era, che è… e non che “sarà”, ma che “viene” (Apocalisse 1, 8).

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