La vocazione di Geremia
18 giugno 2019
Un giorno una parola – commento a Geremia 1, 9
Il Signore disse a Geremia: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca»
Geremia 1, 9
Mettetevi dunque in cuore di non premeditare come rispondere a vostra difesa, perché io vi darò una parola e una sapienza
Luca 21, 14-15
Il profeta Geremia preannunciò l’invasione babilonese e fu testimone della distruzione del tempio a Gerusalemme nel 587 a. C. e della deportazione del popolo in Babilonia. Dalla sua chiamata in poi, sembra un profeta riluttante, tutti gli sono contro, nessuno gli dà ascolto, subisce la reclusione. Del resto i profeti sono persone scomode, che annunciano verità difficili, cui si preferirebbe non prestare attenzione. Re, sacerdoti e tutto il popolo rifiutano di ascoltare il Signore e di mettere in pratica i suoi comandamenti e allora inevitabilmente la rovina cadrà su di loro. Ma prima che potesse assumere l’incarico profetico, la bocca di Geremia fu toccata dalla mano divina, per simboleggiare il fatto che Yahweh aveva messo le sue parole sulle labbra del profeta.
Il Signore, in forza della sua giustizia, non poteva lasciare impunite le colpe di questo suo popolo testardo e disamorato. Tuttavia il giudizio non rappresenta l’ultima parola di Dio. Egli stesso promette, per bocca del profeta, di fare un nuovo patto con le sue creature, un patto di amore e di misericordia che non si esaurirà, e di mettere la sua legge nell’intimo loro, scrivendola sul loro cuore (Geremia 31, 31-34).
Immagine: Il profeta Geremia lamenta la distruzione di Gerusalemme, Cattedrale di Bruxelles, Belgio