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Lontani dagli occhi, lontani dalla Costituzione

Il nuovo rapporto sul carcere presentato dall’Associazione Antigone sottolinea la distanza tra la pena reale e quella prevista dalla Carta fondamentale. Un paradosso in un Paese in cui calano i reati

Giovedì 16 maggio l’Associazione Antigone, che da quasi trent’anni monitora e studia il sistema carcerario italiano, ha presentato il suo XV rapporto annuale, dedicato al rapporto tra “pena reale” e “pena secondo la Costituzione”, due termini che oggi risultano piuttosto distanti e che dovrebbero essere riavvicinati.

Due anni fa, il rapporto di Antigone aveva scelto come parola chiave quella del “ritorno del carcere”, ovvero il sempre più marcato ricorso alla pena detentiva in controtendenza rispetto agli anni precedenti, dopo che, anche in seguito alla Sentenza Torreggiani del 2013, la popolazione carceraria aveva visto una limitata riduzione.

Oggi, a distanza di due anni, è evidente come il sovraffollamento del sistema penitenziario italiano sia ancora in crescita. Al 30 aprile 2019 erano 60.439 i detenuti, di cui 2.659 donne. Le presenze in carcere sono cresciute di 800 unità rispetto al 31 dicembre 2018 e di quasi 3.000 rispetto all’inizio dello scorso anno. Ma soprattutto ci sono oggi ben 8.000 detenuti in più rispetto a tre anni e mezzo fa. Secondo il rapporto, questa tendenza porterà entro due anni ai numeri della condanna europea.

In effetti, il tasso di affollamento sfiora attualmente il 120% e, dalle rilevazione effettuata dall’Osservatorio di Antigone durante il 2018, con la visita di 85 strutture carcerarie, è risultato che in un caso su cinque non viene rispettato il parametro dei tre metri quadrati per detenuto, soglia considerata dalla Corte di Strasburgo minima e al di sotto della quale è alto il rischio di trattamento inumano o degradante.

Il tasso di affollamento può essere considerato tuttavia più elevato se si tiene conto che in ben 37 istituti, tra quelli visitati dall'associazione, ci sono spazi non in uso per ristrutturazione o inagibilità, e non sempre i dati ufficiali sui posti disponibili ne tengono conto.

Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, evidenzia un paradosso: «siamo – racconta – in progressivo aumento come popolazione carceraria, laddove invece siamo in una progressiva diminuzione del numero dei reati connessi. La riforma dell'ordinamento penitenziario nella precedente legislatura è stata poca cosa rispetto alle aspettative e poca poca cosa nella giusta direzione. Ma il bilancio più radicale è un bilancio di tipo culturale, che poi ha avuto un impatto sul sistema penale penitenziario e da qui la scelta di richiamare la Costituzione nel titolo del nostro rapporto. Siamo in un'epoca nella quale si può dire esplicitamente che una persona deve marcire in galera a prescindere da chi sia questa persona, quindi si può esplicitamente andare contro quel dettato costituzionale che i nostri padri costituenti avevano ben presente».

Se cresce il numero dei detenuti, diminuisce però in termini assoluti e in percentuale quello degli stranieri in carcere, a conferma di quanto non esista alcuna relazione tra il fenomeno migratorio e la criminalità. Citando il rapporto, «negli ultimi dieci anni sono diminuiti di oltre 1.000 unità infatti i detenuti non italiani nelle carceri. Gli stranieri erano il 34,27% al 31 dicembre 2017, il 33,9% al 31 dicembre 2018 e sono attualmente il 33,6%. Se nel 2003 su ogni cento stranieri residenti regolarmente in Italia l’1,16% degli stessi finiva in carcere, oggi la percentuale è scesa allo 0,36% (considerando anche gli irregolari)».

Ma c’è un dato che più di ogni altro rende evidente la difficoltà del sistema penale italiano: il 2018, infatti, ha segnato una nuova ripresa nel tasso di suicidi in carcere. Stando al dato raccolto da Ristretti Orizzonti sono stati 67, un tasso di oltre 11 suicidi ogni 10.000 detenuti. Nel 2019 sono già 31 i morti, a conferma che in carcere ci si uccide quasi 18 volte di più che in libertà.

«È sempre difficile parlare di una scelta umana, profonda, individuale», chiarisce Susanna Marietti. «Però – prosegue – quello che ci dice questo dato è che è un carcere sovraffollato non è solo un carcere dove manca il metro quadro, ma è un carcere dove un sistema che è pensato per un certo numero di persone deve invece farsi carico di molti di più e quindi deve suddividere la propria attenzione, che è un'attenzione dei medici, un'attenzione degli psicologi, un'attenzione degli educatori, un'attenzione della polizia penitenziaria. Quello che succede è che l’individualità si va a perdere e quel trattamento individualizzato di cui ci parla nell'ordinamento penitenziario è ormai illusorio. La disperazione non riesce a essere intercettata, e quindi non riesce a essere sostenuta, a essere riportata dentro binari normali che evitino il gesto estremo».

Dopo un’intera legislatura, la scorsa, passata a ragionare su come riformare un sistema in cui i problemi sono numerosi e noti da decenni, oggi il percorso sembra interrotto. «L'emergenza oggi sembra un'altra – conclude Marietti – e cioè la corsa continua a creare un nemico che non c'è, perché in questi primi quattro mesi del 2019 i reati sono calati del 15 per cento rispetto ai corrispondenti 4 mesi del 2018. La corsa a creare un nemico e poi a raccontarci che ci difenderanno da questo nemico sembra l'unica cosa che riempie il nostro orizzonte politico».

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