Sveglia: c'è l'Europa
09 maggio 2019
La campagna elettorale, almeno nel nostro Paese, si mostra disattenta: appare tuttavia ineludibile l’urgenza di riformare le istituzioni europee, allargandone gli spazi di solidarietà
Il 26 maggio si svolgeranno le elezioni per il Parlamento europeo. In Italia queste elezioni sono accoppiate a un turno di amministrative molto consistente: 3812 Comuni per un totale di 16 milioni e 800.000 e passa elettori, nonché a quelle per la Regione Piemonte. Tutti i commentatori si affannano a mettere in evidenza l’importanza di queste elezioni per l’Europa. Saranno la cartina di tornasole della forza elettorale dei partiti cosiddetti sovranisti e populisti o apertamente nazionalisti, magari con venature illiberali. Ci diranno se questo risultato permetterà che il governo delle istituzioni europee sia nelle mani di formazioni politiche europeiste o se queste saranno condizionate dalla forza numerica di quelle euroscettiche o antieuropee.
A oggi in Italia, peraltro, la temperatura della campagna elettorale per queste elezioni non si è molto scaldata. Sarà per i metodi piuttosto verticistici con i quali sono state confezionate le liste, sarà per la contemporanea presenza di continue tensioni interne alle forze di maggioranza che compongono l’attuale governo, sarà per la concomitanza delle elezioni amministrative sopra accennata, ma un vero dibattito coinvolgente i cittadini del nostro paese non si è ancora sviluppato.
Il motivo è evidente. La vicenda greca per quanto riguarda l’euro, prima, e la vicenda della Brexit dopo, hanno dimostrato da un lato che dall’euro non si esce e dall’altro quanto sia difficile e complesso sia dal punto di vista geopolitico che dal punto di vista economico andarsene dall’Unione Europea. In altre parole, temi come la proposta di referendum sulla volontà o meno di restare in Europa e/o nella zona euro hanno perso di vigore e così, simmetricamente, ha perso di drammaticità il tema della permanenza nelle istituzioni europee. Avrebbe a questo punto molto spazio il tema delle necessarie riforme della politica europea perché l’Unione ritorni a essere considerata come uno strumento di sviluppo e di crescita e non come un freno o peggio, come un vincolo che porta all’arretramento delle condizioni di reddito e di vita delle classi lavoratrici e delle classi medie.
Ma questo significherebbe uscire dalla retorica e misurarsi sul piano dei programmi concreti. È quanto per esempio invita a fare l’appello Le culture della Repubblica per l’Europa, presentato a Roma il 7 marzo scorso e firmato da una ventina delle più prestigiose Fondazioni e Istituti di cultura politica del nostro paese, rappresentativi delle radici di tutto l’arco delle posizioni ideali che hanno dato vita a suo tempo alla repubblica, dai liberali ai comunisti, ai democristiani, ai socialisti e agli azionisti. Il documento argomenta con molta chiarezza che c’è uno stretto rapporto tra crisi della democrazia e di conseguenza crisi di legittimazione delle classi dirigenti in Europa e crisi della democrazia e di delegittimazione delle classi dirigenti in Italia. Di conseguenza il documento formula una serie di indicazioni per la riforma strutturale delle istituzioni europee che considera anche condizioni anche per la difesa e lo sviluppo della democrazia in Italia.
Dobbiamo allora considerare in tutta la sua importanza questa tornata elettorale per il Parlamento europeo, e dobbiamo chiedere, che anche all’interno degli attuali trattati, le competenze di quest’organo, l’unico a elezione diretta nel contesto istituzionale europeo, siano rispettate e di fatto accresciute. L’alternativa sovranista prospetta invece una sorta di stallo delle istituzioni europee, con un allentamento della solidarietà interna all’Europa stessa: un’Europa di fatto indebolita, il che risponde agli auspici da un lato del presidente americano Trump, dall’altro del presidente russo Putin.
Il governo italiano sembra prediligere un rapporto con l’Unione Europea e con la zona euro basato su un contenzioso bilaterale in tema di decimali addizionali di debito pubblico da consentire al nostro paese. Dovrebbe invece ricercare le necessarie alleanze multilaterali per ottenere l’esclusione dai parametri di Maastricht degli investimenti produttivi e la realizzazione di una politica di investimenti europea per una crescita equa e ambientalmente sostenibile.
Questo consentirebbe all’opinione pubblica italiana ed europea di riprendere fiducia nel cammino comune e in questo modo di rivalutare quegli ideali di pace, di democrazia e di solidarietà che hanno fatto la forza dell’Unione Europea fin dalla sua nascita.