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Un migrante ospite della Diaconia valdese fa vacillare il decreto Salvini

Il Tribunale di Firenze riconosce il diritto all’iscrizione anagrafica ad un richiedente asilo ospite della Diaconia valdese in Toscana, è il primo caso in Italia

C’è un giudice a Berlino. O meglio a Firenze. Che smonta il decreto Salvini, apre una breccia nel muro alzato dall’attuale governo e crea un precedente importante, il primo in Italia. 

Somalo, 50 anni, Yosef, nome di fantasia, è ospite delle strutture della Diaconia valdese nella provincia di Firenze da gennaio 2018. Inserito nei progetti di accoglienza e inclusione l’ottobre scorso presenta la richiesta di iscrizione all’anagrafe del Comune di Scandicci in cui è vive nell’appartamento con altri sette ragazzi, così da ottenere un documento di identità regolare, poter cercare lavoro e accedere ai servizi sanitari o sociali di cui possa eventualmente necessitare. Ma nel frattempo sono appena entrate in vigore le nuove norme del decreto sicurezza e immigrazione volute dall’attuale governo, che prevedono fra l’altro il divieto di iscrizione all’anagrafe per i richiedenti asilo, e in conseguenza proprio di ciò la richiesta viene respinta.

«Aiutato dagli avvocati dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Yosef ha presentato ricorso - ci racconta Davide Arca, responsabile dell'area adulti della diaconia fiorentina-. E due giorni fa è arrivata la notizia che il giudice ha accolto tale ricorso e ha ordinato al Comune di Scandicci l’immeditata iscrizione all’anagrafe del richiedente asilo». 

Il cavillo scovato dagli avvocati di Asgi mostra la debolezza del decreto: la sentenza del tribunale, come riporta in un comunicato stampa proprio Asgi «dà atto del fatto che ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale, deve intendersi comunque regolarmente soggiornantesul territorio dello Stato quantomeno per il tempo occorrente ad accertare il diritto alla protezione pretesa,  e che la regolarità del soggiorno sul piano documentalepuò essere comprovata, oltre che dal permesso di soggiorno, di cui la norma in commento esclude la spendibilità, da ulteriori e diversi documenti quali ad esempio gli atti inerenti l’avvio del procedimento volto al riconoscimento della fondatezza della pretesa di protezione ed in particolare attraverso il cd. “modello C3”, e/o mediante il documento nel quale la questura attesta che il richiedente ha formalizzato l’istanza di protezione internazionale».

La regolarità del soggiorno non si dimostra dunque soltanto con il classico permesso di soggiorno, come indicato dal testo del decreto sicurezza: è sufficiente il verbale che attesta la richiesta di asilo presentata in questura. In questa maniera è stato aggirato il decreto e ora il caso di Scandicci potrebbe fare scuola in molte altri situazioni analoghe.

Il diniego sarebbe discriminatorio, come sancito dalla Costituzione, scrive il giudice Carlo Carvisiglia del tribunale di Firenze che ha accolto il ricorso.

«In questa maniera Yosef potrà proseguire il percorso di integrazione che sta compiendo a Scandicci grazie alla frequentazione a corsi di italiano e di avviamento al lavoro» continua Arca.

Quello di Scandicci è uno dei due centri di accoglienza della diaconia valdese nella provincia di Firenze, insieme a quello di Figline Val d’Arno, cui si somma il progetto “Ubuntu”, 10 posti in due appartamenti per coloro che per vari motivi sono esclusi dai circuiti dell’accoglienza e con i quali viene impostato un discorso di autonomia nel breve periodo.

«Yosef è musulmano e frequenta la chiesa valdese di Firenze al sabato pomeriggio dove è molto attivo un gruppo di volontarie e volontari che organizza pranzi comunitari, uscite, passeggiate, per aiutare veramente l’integrazione delle persone. Tutte modalità di accoglienza partecipata che ci caratterizzano. Penso anche alla gestione della preparazione dei pasti: Yosef divide l’appartamento con altri sette ragazzi secondo il modello dell’accoglienza diffusa. Vivono nei centri abitati, di solito in condomini per favorire l'inclusione, e noi non forniamo loro derrate alimentari, ma incentiviamo un percorso di autonomia che passa dal fare la spesa nei negozi del paese, nel gestire risorse e tempistiche, nell’ effettuare insomma un vero percorso che li porti a essere parte integrante delle comunità in cui si trovano a vivere» commenta Arca. I capitolati scritti secondo le nuove regole del decreto Salvini sono assai più restrittivi in materia, con ad esempio la somministrazione di cibo preparato altrove, tramite catering o servizi simili, quello che per Arca è «un inaccettabile passo indietro cui cercheremo di opporci in fase di contrattazione durante i nuovi bandi (gli attuali dovrebbero scadere a fine aprile). Perché è solo attraverso la responsabilizzazione che si attua una vera integrazione».

Intanto la Regione Toscana e varie amministrazioni comunali (sono 60 quelle che hanno fatto ricorso contro il decreto sicurezza) stanno cercando i fondi per compensare almeno in parte i tagli previsti per l’accoglienza nel nostro Paese, nel tentativo di non veder scomparire del tutto tutti quei momenti che sono parte fondamentale del percorso di integrazione, quali i corsi di lingua, di avviamento al lavoro etc..

Una resistenza che ora trova anche appigli legali di non poco conto.

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