Immigrazione, le nuove regole e le contraddizioni alla frontiera
07 marzo 2019
Operative da alcune settimane, le nuove norme in materia di accoglienza mostrano la loro criticità; nel mentre si assiste al giro di vite delle forze dell'ordine che stanno militarizzando la gestione dei flussi. Intervista a Simone Alterisio che coordina a Ventimiglia per la Diaconia valdese un team mobile in collaborazione con Oxfam
Più sicurezza o più clandestini? Le nuove norme in materia di immigrazione sono entrate in vigore oramai da alcune settimane ed è certamente possibile vederne già alcune conseguenze. Ci sono luoghi in cui è più semplice misurare quanto sia ampia la distanza fra slogan e realtà dei fatti: questi luoghi sono le frontiere, lungo le quali esplodono le contraddizioni di quanto messo in atto.
Ventimiglia è uno di questi luoghi. Simone Alterisio coordina in questo lembo estremo di Liguria il progetto della Diaconia valdese. Dal 2017 in partnership con la Ong Oxfam e con il supporto di Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) gli operatori sono presenti con un team mobile nei punti nevralgici della cittadina e del confine italo-francese per fornire informazioni legali e orientamento sui servizi e sui diritti alle tante persone che ancora giungono qui, nella speranza di proseguire il proprio viaggio verso la Francia o il resto d’Europa.
«Sta cambiando in maniera profonda l’utenza che incontriamo – ci racconta -. Ora arrivano a Ventimiglia soprattutto coloro che con le nuove disposizioni hanno perso la protezione umanitaria o che sanno che non potranno rinnovarla o convertirla e che tentano quindi di andarsene per non venire intercettati con il conseguente rischio di espulsione. Persone che in vari casi già lavoravano o avevano avviato percorsi di integrazione e soggetti vulnerabili che dal giorno alla notte hanno cambiato status, perché magari i loro paesi di origine vengono considerati sicuri, mentre tali non sono pressoché mai».
Secondo i dati dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, entro il 2020 la sola abolizione della protezione umanitaria produrrà un numero di nuovi irregolari che oscilla fra le 60.000 e 100.000 unità (di questi si stima che meno del 10% verrà effettivamente rimpatriato) e che porterà a circa 700.000 il numero totale di clandestini presenti in Italia. Numeri che crescono invece che diminuire. «Aumentano anche i dublinati, coloro cioè riportati in Italia da altre nazioni europee perché il nostro viene considerato il primo paese di approdo. Ma spesso non è così: sono molti i casi di persone portate in Italia senza che vi siano mai transitati perché provenivano invece da Spagna o dai Balcani, ma le pratiche non vengono esaminate, vengono fatti scadere i termini e di conseguenza queste persone automaticamente devono venire prese in carico dal sistema italiano».
Ma un altro aspetto sta alimentando preoccupazioni, mutando relazioni. La progressiva militarizzazione sia dei luoghi fisici che delle procedure di gestione del fenomeno migratorio. «L’unico campo di Ventimiglia, il campo della Croce Rossa è scomodo per la sua posizione ad alcuni km dal paese ma, al di là di alcune tensioni oramai superate legate alle impronte digitali che vengono prese all’ingresso per questioni di sicurezza, è stato considerato, anche da noi, un rifugio sicuro più o meno per tutti quelli che si trovavano a transitare qui, richiedenti asilo e non. Nell’ultimissimo periodo la questura ha però cambiato le regole: all’ingresso viene fatto compilare un modulo con il quale si chiede alla persona migrante se intenda o meno fare domanda di asilo e se in possesso di regolari documenti. Chi dichiara di non aver intenzione di fare la richiesta può rimanere soltanto cinque giorni nel campo. Le forze dell’ordine in questo modo sanno perfettamente chi potrebbe aver diritto a rimanerci e chi no. Se è vero che oramai da un paio di anni vengono organizzati dalla Prefettura dei bus sui quali vengono caricate persone che vengono trasferite in maniera forzosa all’hotspot di Taranto per avviare procedure di espulsione che non avverranno mai, perché l’Italia ha accordi bilaterali in tal senso soltanto con poche nazioni, ora su questi bus vengono fatte salire le persone che hanno risposto in maniera negativa alla domanda sulla volontà di richiedere asilo in Italia. Si tratta di ingerenze gravi, di prassi non legittime, che fanno del campo Roya un luogo non più sicuro per tutti. Ogni viaggio fra l’altro costa moltissimo alla collettività, diverse migliaia di euro fra personale, affitto mezzi, notti in trasferta, scorte. Un gioco dell’oca che paghiamo tutti noi».
Prassi non legittime che stanno raggiungendo una procedura sistematica però: «Da tempo oramai i funzionari del campo stilano l’elenco di chi ha intenzione di fare richiesta di asilo, perché passa del tempo prima che ogni singolo venga ricevuto dai funzionari per poter avviare le pratiche, e queste persone in attesa ovviamente hanno diritto a rimanere su suolo italiano. Ma stiamo registrando casi di nominativi presenti sulle liste eppure caricati sui bus dalla polizia e deportati altrove. Nei giorni scorsi un ingegnere sudanese che aveva manifestato a noi la volontà di avanzare domanda di protezione internazionale e per il quale avevamo cercato di avviare un percorso adatto alla sua formazione, un inserimento più strutturato con il tentativo di riconoscimento dei titoli di studio, e dunque presente regolarmente sulle liste dei richiedenti è stato lo stesso fatto salire su di un pullman per essere portato a Taranto. Noi abbiamo assistito alla scena, abbiamo chiamato i funzionari per segnalare la sua presenza sulle liste, ma le forze dell’ordine non hanno sentito ragioni».
Lo smantellamento del sistema di accoglienza, il ridimensionamento degli Sprar, la cancellazione di programmi di inclusione fanno sì che siano sempre più numerose le persone costrette a dormire in strada, nelle grandi città ea qui a Ventimiglia lungo la frontiera. «La forte presenza di militari nella zona lungo il greto del fiume e sotto i ponti cittadini ha fatto sì che i campi informali presenti siano stati smantellati. Ma la gente non sparisce dal giorno alla notte, semplicemente si sposta, e ora i problemi sono più a ovest, proprio lungo il confine con la cittadina francese di Mentone, laddove opera la polizia francese, che in quanto a cortesie non è da meno della nostra, dati i continui respingimenti anche di minori. Quindi assistiamo ai nostri governanti che fingono una guerra dialettica con la Francia, ma che nella realtà si riprendono in carico anche chi non dovrebbero, frutto evidentemente di un tacito accordo fra le parti».
Sugli scenari futuri Alterisio si fa interprete di quanto temuto da moltissime associazioni e enti che si occupano del fenomeno migratorio: «Certo, nel breve termine il disegno appare tragicamente chiaro: si è creato un nemico, lo straniero, cui rendere quasi impossibile la permanenza regolare su suolo italiano; lo si manda per strada, si fa crescere l’insicurezza percepita con sonanti campagne stampa, e alcune forze politiche avranno buon gioco a fare una campagna elettorale sulla necessità di maggiore tutela. Ma nel lungo periodo tutti i nodi verranno al pettine: se si mettono in strada decine di migliaia di persone prima o poi il fenomeno andrà gestito e le contraddizioni cui stiamo assistendo diventeranno probabilmente un boomerang».
Mentre il nostro paese vive in una campagna elettorale pressoché permanente la gestione del fenomeno migratorio segna il passo: gli arrivi sono si diminuiti ma certo non cessati, e in strada sono finite migliaia di persone fino a ieri inserite in progetti di accoglienza, di integrazione. La grande parola scomparsa dall’agenda politica. E per la cui assenza pagheremo tutti le conseguenze.