La vita delle parole/coraggio
26 febbraio 2019
Le parole hanno una vita loro; ci rimandano alle persone, ai gesti che compiamo, ma anche alla storia e alla Bibbia. Rubrica ospitata dal mensile L'Eco delle valli valdesi di marzo, in distribuzione da oggi
Si parla molto di coraggio. Ce ne vuole per pensare con la propria testa, per dire dei no, per prendere delle decisioni e operare delle scelte, per aprirsi all’altro in maniera autentica. Se ne parla molto forse perché ne abbiamo poco e il rischio è di scambiare il coraggio con l’eroismo, qualcosa che trascende il quotidiano. Allora diventa coraggioso chi è spavaldo, chi si butta nella mischia e urla più forte, chi sfida il pericolo e sa farsi insensibile ai tumulti della vita.
Il coraggio è la virtù del cuore (cor) che nel mondo antico era la sede del pensiero, oltre che delle passioni. Dunque esso è una forza interna, che viene dal cuore e investe la persona tutta. Questo ci dice che il coraggio non ha nulla di militaresco, non è freddo e insensibile. Coraggio significa avere paura e andare oltre quella stessa paura. È un’operazione sofferta, drammatica, un agire «malgrado» e un vivere «nonostante», in un corpo a corpo con la realtà.
La Bibbia ci regala numerose figure coraggiose: da Abramo che trova la forza di partire a Rut che esercita la virtù dell’amore fedele; da Mosé che sa essere solidale a Giobbe che è coraggioso nella sofferenza. Fino ad arrivare a Gesù che, tremante e angosciato nel giardino degli ulivi, ci rivela un’intensa umanità. Un’umanità sempre in bilico tra morte e resurrezione.
Allora il coraggio che serve per stare al mondo non è mai tronfio, spettacolare ma sa fare i conti con ciò che siamo: complicati e vulnerabili. Una virtù che non rifiuta la nostra povertà di individui ma che la attraversa e la assume pienamente su di sé. Per ricominciare dopo aver costruito noi stessi, per esercitare la nostra libertà dando inizio a qualcosa di nuovo e non limitandoci a percorrere il cammino già tracciato.