La nostra salvezza
22 febbraio 2019
Un giorno una parola – commento a Isaia 33, 24
Nessun abitante dirà: «Io sono malato». Il popolo che abita Sion ha ottenuto il perdono della sua iniquità
Isaia 33, 24
Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio
Romani 5, 1. 2
La malattia e l’infermità, come la deformità erano, in antico, collegate al peccato. La questione può essere spiegata così: una deviazione dalla norma, quale la malattia, l’infermità o la deformità, era la punizione conseguente di una violazione delle leggi, naturali o divine, che regolano il mondo, evitando, così, che ricada nel caos originario. L’idea era ben radicata, se i discepoli, riguardo all’infermità di un tale cieco dalla nascita, chiedono a Gesù: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? Gesù respinge una visione così semplicistica e rimanda, piuttosto, al piano divino, che proprio in lui si sta realizzando. Se la malattia non è necessariamente conseguenza del peccato, il peccato, tuttavia, ha molto in comune con una malattia, invalidante e mortale. È malattia perché viene a modificare patologicamente un condizione originaria perfetta, perché così voluta da Dio. È invalidante, perché rende l’uomo incline al male. È mortale, perché il «salario del peccato è la morte». Siamo, dunque, a motivo del peccato, in piena e inconciliabile opposizione a Dio, incapaci di curare da noi stessi questa malattia, che ci condanna al nulla eterno. La nostra salvezza, infatti, questo per il nostro bene, è sottratta alle nostre possibilità e alla nostra responsabilità, avocata a sé da Dio, che la realizza in Cristo. Essa è pura grazia, dataci per la misericordia di Dio; vi abbiamo accesso per la fede e per null’altro. Su questa grazia si fonda ogni nostra speranza. La speranza cristiana è l’attesa credente, cioè espressione diretta della fede, di qualcosa che, se pure ancora non manifesta, ci è già data in Dio; proprio come per il perdono dell’iniquità di Gerusalemme da parte del Signore Iddio. Il popolo che abita in Sion, grazie a quel perdono, è già guarito dal suo male, noi attendiamo per fede e in speranza, la gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo (Romani 8, 18).