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Corpi di desiderio

Dialoghi intorno al Cantico dei Cantici alla ricerca di una sapienza che sappia parlare anche alle coppie di oggi

Lidia Maggi e Angelo Reginato, pastora e pastore battista, hanno pubblicato da poco con Claudiana il libro Corpi di desiderio. Dialoghi intorno al Cantico dei Cantici. Per gli autori si tratta di un confronto, un dialogo tra loro intorno al testo, e tra loro come coppia e la coppia protagonista del Cantico. Il libro è tra i più interessanti e audaci della Bibbia, perché parla d’amore, di eros. Per questo ha spesso corso il rischio di essere derubricata a canto erotico che poco aveva a che fare con l’elevazione a Dio, in cui, anzi, la presenza di Dio sembra essere vacante. Il questo testo, però, sono molti i modi in cui l’amore tra i due personaggi può essere interpretato, lasciando spazio a diverse letture allegoriche che hanno composto una ricca letteratura intorno al Cantico.

Gli autori si mettono in gioco e incontrano gli amanti nel giardino in cui si svolge il loro corteggiamento, guardando alla scena con occhi contemporanei, leggendo il Cantico e seguendo i suoi insegnamenti come fossero una guida sapienziale dedicata a ogni coppia.

Ne parlano gli autori.

Innanzitutto come presentereste il Cantico dei Cantici?

L.M.: «Il Cantico dei Cantici è un libro strepitoso, sorprendente. Si tratta di uno di quei testi derubricati come testi sapienziali. L’ambientazione è un giardino dove udiamo la voce di due giovani amanti che parlano, fanno l’amore, si rincorrono, si cercano. È un libro che da voce al desiderio erotico e lo fa più che disquisendone, facendoci sentire la voce degli amanti. È sorprendente perché è  un libro totalmente laico. Una delle ragioni che lo rende particolarmente intrigante è che all’interno del codice della fede ebraico-cristiana, la Bibbia, c’è un libro che è parola di Dio, che tuttavia non prevede la presenza di Dio»

È questo che ha reso così controverso il suo inserimento nel Canone?

A.R.: «Si, è stato controverso fin dall’inizio in ambito ebraico perché sembrava un canto da osteria dove gli amanti usano toni superlativi per affascinarsi reciprocamente. Anche in ambito cristiano ha avuto i suoi detrattori, anche se nel canone protestante non ha avuto problemi ad essere inserito. Questa difficoltà è stata superata proponendo delle interpretazioni soprattutto di tipo allegorico: si parla dell’amata ma in realtà si pensa alla chiesa, a Israele, oppure all’anima. Si parla dell’amato, ma in realtà si fa riferimento a Dio. In tal senso ci sono commentari medievali bellissimi. Sono letture che intuiscono una grande potenzialità del testo, infatti è vero che c’è anche dell’erotismo nella relazione con Dio, però rischiano di perdere la visione totale. In campo protestante in particolare è stato un studio di di Robert W. Jenson, proprio edito da Claudiana, che ha recuperato l’importanza di partire dalla lettura del testo. Certo, essendo un poema, è chiaro che prevede un linguaggio simbolico che però non è solo informativo, ma allusivo, evocativo, formativo».

In che modo avete quindi riletto il testo?

A.R.: «Innanzitutto, essendo pastori non proprio accademici, ne abbiamo sperimentato una lettura comunitaria nelle nostre chiese, con dei gruppi che ci hanno chiesto di leggere insieme il Cantico. A partire da questa esperienza abbiamo deciso di leggerlo noi come coppia, provare a vedere questo testo come uno specchio. I testi biblici sono accoglienti, hanno la funzione non tanto di rimandarci a un passato irraggiungibile, quanto di parlare anche al nostro presente. Quello che si ripete spesso è che mentre tu leggi la Bibbia, la Bibbia legge te, ti interroga, ti fa appunto da specchio. Nello stesso tempo ti fa da finestra, ti apre a orizzonti differenti. Per noi fa da specchio alle esperienze che abbiamo vissuto, sulle domande che ci siamo posti come coppia. Certo, non come fossero delle istruzioni per l’uso, ovvero quello che oggi si ricerca nelle relazioni. La poesia si muove su un altro registro. Abbiamo tradotto questa sapienza della relazione  come senso alla ricerca dei sensi, e sensi alla ricerca del senso: questo divario tra riflessione ed esperienza abbiamo provato a riconciliarla a partire da questo testo. Ma il testo è una finestra anche perché va oltre la coppia, riguarda la sapienza di abitare questa terra insieme ad altri, la politica, le migrazioni e persino Dio. Perché è vero che è un testo laico, c’è solo un accenno a Dio. Però a differenza delle letture allegoriche che  individuavano il Signore nell’amato che l’amata deve cercare e trovare, Dio non è tanto in uno dei personaggi del testo, ma è nella relazione tra i due: è nell’esperienza amorosa che si può fare esperienza del divino».

L.M.: «Il Cantico prima di tutto ci restituisce una fede che ha a che fare con il corpo, e poi ci consente anche di rivisitare alcune immagini di Dio con cui fatichiamo ad entrare in relazione o che fatichiamo a mettere in discussione. Il gioco del Cantico dei Cantici ha anche la pretesa di mostrarci modelli sociali che sono in alternativa allo standard e modelli di Dio che sono un controcanto ai luoghi comuni su Dio. Faccio un esempio: i canoni di bellezza sono messi totalmente sottosopra nella scrittura. La ragazza del poema è consapevole della sua bellezza e fa una prima definizione di se stessa come “nera ma bella”. È una ragazza che ha forme che non seguono i codici che allora si proponevano. Ha il seno molto piccolo, è esile. Lo standard di allora prevedeva che la donna avesse la pelle chiara e forme sinuose adatte alla maternità. La protagonista vìola questi codici eppure è proclamata bella, perché la bellezza non è legata a degli standard ma è legata alla relazione amorosa che si instaura. E nella relazione dove troviamo Dio? Si presenta a volte con i tratti di un ragazzino timido che riceve un invito amoroso da una ragazza audace: “O tu bello, dimmi dove vai a pascolare il tuo gregge” a cui lui risponde vagamente: “Segui le tracce delle pecore e li forse tu mi troverai”. Oppure si presenta con il volto irriverente di una ragazza audace che mette sottosopra il patriarcato, che fa proposte indecenti al suo bello, che ne desidera i baci. C’è un Dio che cerca innanzitutto la gratuità della relazione. Il Cantico dei Cantici ci offre un panorama dove le relazioni vengono messe sottosopra rispetto agli standard culturali e sociali e in cui noi scopriamo una grande libertà».

A.R.: «Questa provocazione teologica e questa provocazione affettiva parlano oggi a una società sempre più individualista. Quest’anno ci si è inventati il sovranismo psichico, ovvero l’idea che ci giochiamo la vita individualmente e l’altro è soggetto a sospetto, a difesa. Il Cantico propone una sapienza differente, scommette sulla bellezza della relazione, sulla costruzione di questa relazione che domanda fascino e attrazione ma anche ascolto, reciprocità, tentativi, ricerca. Mi sembra che sia una sapienza di cui abbiamo bisogno».

Nel confrontarvi sul testo è capitato di trovarvi in disaccordo?

L.M.: «In diversi passaggi ci siamo trovati in disaccordo, per esempio affrontando un passaggio in cui lei viene definita come “giardino chiuso”. Su questa formula c’è tutto il peso esegetico attribuito a Maria come giardino chiuso, come vergine. Le chiavi di lettura che abbiamo proposto sono molto differenti. Per me si trattava di uno scherzo litigioso tra innamorati: lui che si lamenta della poca disponibilità di lei perché è troppo indaffarata e troppo di corsa. Alla poca disponibilità di baci e abbracci che lui recrimina lei risponde di essere un giardino chiuso. Ma continua “Sarò pure giardino chiuso ma tu sei vento che non può essere trattenuto. E allora vieni vento nel mio giardino”. E il litigio è sedato dall’abbraccio.

Angelo vedeva invece in questa metafora un giardino chiuso che deve essere protetto da tutti quei poteri sociali che rischiano di contaminare l’amore: i poteri del patriarcato, il potere della performance sociale. Questo è un esempio di come noi ci siamo trovati in disaccordo sul testo biblico. Abbiamo provato a dialogare e anche offrire alle lettrici e ai lettori in dialogo con noi questi sguardi diversi. Però credo che la cosa che più ci ha interrogato è stato trovarci di fronte a una coppia dove l’alterità dell’altro ha un peso importante perché la coppia possa esistere. Le coppie consolidate rischiano di dare per scontato il compagno: l’altro lo conosci e non è più un mistero. Su questo ci siamo interrogati nuovamente per restituire l’alterità all’altro, per trovare il modo di restituire la distanza che rimette in moto la ricerca e che non addomestica un amore ma lo risveglia. Nel Cantico su questo c’è tantissima sapienza».

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