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Appartenere a Gesù

Un giorno una parola – commento a Giovanni 10, 27-28

La mano di Dio fu su di noi, e ci liberò
Esdra 8, 31

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano
Giovanni 10, 27-28

Cosa devo fare per appartenere a Gesù? È una domanda legittima, che nasce dal bisogno umano di appartenenza. Ognuno di noi ha il desiderio e la necessità di sentirsi parte di qualcosa, di una famiglia, di una comunità, di un popolo che condivide fede e speranza.

Gesù spiega qual è la parte di ciascuno: i credenti ascoltano la voce di Gesù e lo seguono; Gesù, dal canto suo, conosce quelli che gli sono stati affidati uno per uno e dona loro la vita eterna; e la parte di Dio è di affidare i suoi alla cura di Gesù e di proteggerli in modo che non vadano persi in mani altrui.

Certo, qualcuno potrebbe avere il desiderio di una identità a partire da motivi territoriali, etnici o religiosi e non di arrischiarsi nel loro superamento. In questo caso la domanda di appartenenza a Gesù sarebbe però inopportuna, perché posta con la paura di perdere la propria identità. Gesù non offre una identità e non offre una alternativa all’abbandono della propria identità etnica, nazionale o culturale. Gesù, in effetti, è il Messia di chiunque si affida a lui. 

A volte vorremmo avere una fede che ci dispensasse dalla responsabilità, per fedeltà all’evangelo, di andare contro ciò che ci caratterizza e ci dona identità. Ma che cos’è che dà il senso di identità al credente, è una terra per cui fare le guerre, è una religione per cui fare le crociate, è una legge per perseguire i dissidenti, è una cultura per discriminare le minoranze? In verità, l’identità del credente è data dalla sua appartenenza a Gesù e dalla sua capacità di riconoscere la voce del suo Signore. 

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