Sulla pelle degli altri
08 gennaio 2019
Fra porti chiusi, sovranismi e nazionalismi si misurano le tensioni e i fallimenti globali
In queste ore drammatiche in cui assistiamo impotenti agli sviluppi della vicenda dei 49 migranti ancora intrappolati sulle navi Sea Watch e Sea Eye, sorgono numerosi interrogativi che richiedono una presa di posizione. Innanzitutto, colpisce il tatticismo con cui la politica gioca sulla pelle di persone vulnerabili e già molto provate - e traumatizzate - dalle torture e dalle violenze subite nei campi in Libia e lungo il percorso nel deserto. Tale tatticismo diventa cattiveria aggravata, con aperture temporanee da parte dei governi come la proposta di accogliere “solo donne e bambini”, con una retorica inaccettabile in una emergenza umanitaria, che avrebbe separato le famiglie e reso ancora più fragili le persone.
Dall’intervista a Christiane Groeben su Riforma.it abbiamo appreso che venerdì scorso, quando c’è stato il cambio dell’equipaggio, i migranti che si erano affidati ai soccorritori hanno dovuto separarsi da loro, con comprensibile tristezza, scoraggiamento e senso di abbandono. Come affermato dal medico di bordo ulteriori separazioni, con la prospettiva di avviare lunghissimi e impossibili ricongiungimenti, sarebbe una crudeltà immane.
Dal punto di vista psicologico, dopo due settimane di odissea in mare, il gruppo -ormai una piccola comunità - dovrebbe rimanere unito, come unico fattore di protezione contro ulteriori sofferenze e crolli psicologici che in queste ore si stanno manifestando attraverso il rifiuto del cibo. Le forze stanno venendo meno e la speranza è ormai agli sgoccioli.
Eppure, tutto era pronto per l’accoglienza e per l’accompagnamento nei Paesi destinatari, come anche la Fcei (Federazione delle chiese evangeliche in Italia) e la Diaconia valdese hanno riferito comunicando la disponibilità a farsi carico di queste persone .L’agenzia Ansamed riportava nei giorni scorsi di contatti intensi tra gli stati membri EU e il Commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos, affinché vi potesse essere uno sbarco immediato.
In queste ore si rincorrono i numeri. Il nostro governo, nonostante i litigi al suo interno, sembra orientarsi verso l’accoglienza di alcuni migranti, aggiungendo incertezza a incertezza, insicurezza a insicurezza. Come viene sottolineato in un comunicato emesso da un gruppo di medici e psicoterapeuti (https://www.etnopsi.it) che da anni si occupano di trauma migratorio e della salute dei migranti che scappano dalla violenza e dalla guerra, già consulenti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, è insopportabile ciò che sta accadendo in Italia.
A 70 anni dalla “Dichiarazione universale dei diritti umani” (1948), riscatto dalla barbarie della guerra, dall’odio razziale e dall’umiliazione, “l’Italia rifiuta di riconoscere uguali diritti e uguale dignità a tutti gli esseri umani: erige muri, chiude porti, nega accoglienza e crea fratture sociali che sarà difficile sanare”, si legge nel documento. Negli ultimi anni il polo clinico della scuola di psicoterapia etno-sistemica-narrativa, con sede a Roma presso YWCA, “ha accolto la sofferenza di molti giovani, uomini, donne e bambini, ricostruito storie di migrazioni dolorose, ridato senso a eventi inenarrabili, integrato mondi che parlavano lingue diverse, curando le storie di esseri umani feriti. Questo lavoro – prosegue il documento - è stato possibile perché il nostro era un Paese che garantiva a tutti sicurezza e protezione ed era capace di infondere speranza nel futuro dei tanti che in Italia avevano scelto di emigrare”.
A fronte di queste difficoltà a garantire cure specifiche e assistenza per l’integrazione ai migranti, vi sono in questi giorni reazioni in diverse Regioni italiane dove si sta valutando di presentare ricorso contro la legge sulla sicurezza. È un primo segnale di una sana protesta contro i recenti provvedimenti securitari, come richiesto da tanti cittadini e cittadine che si sono ritrovati sabato 5 gennaio pomeriggio in piazza a Torino e in altre città italiane. Il profilo di inconstituzionalità, di vero e proprio affronto alla nostra Costituzione ma anche alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, baluardi contro tutte le discriminazioni, ci sollecita a non lasciare che esse diventino lettera morta, ma siano piuttosto l’inizio di una nuova presa di consapevolezza dei valori europei per cui impegnarsi e lottare concretamente.
Vi è una crescente preoccupazione circa il nazionalismo e il sovranismo che alcuni governi in Europa intendono cavalcare in vista delle prossime elezioni, e che rischiano di prevalere su giustizia e diritti. L’impatto di questa politica è già ben visibile nella vicenda dei 49 migranti bloccati sulle navi Sea Watch e Sea Eye da 17 giorni. Inimmaginabile alcuni mesi fa eppure dura realtà.
In un’intervista a Paolo Bonetti, membro del consiglio direttivo dell’Asgi e professore di diritto costituzionale all’università di Milano Bicocca, contattato da Fanpage.it, mette in luce quanto il problema sia europeo: una vicenda estremamente complicata in quanto occorre tenere conto delle leggi dei singoli stati e delle leggi internazionali. La preoccupazione di Malta, piccola isola in mezzo al Mediterraneo, di divenire porto sicuro per tutte le imbarcazioni in difficoltà, è da prendere sul serio. D’altra parte, esiste solo l’obbligo di soccorso, ma non quello di sbarco ed è per questo che vi è lo stallo da tanti giorni. È però possibile che le trattative vadano avanti con persone in mezzo al mare? “Malta – prosegue Bonetti - è Stato membro del Consiglio d'Europa e come tale ha ratificato, come l'Italia, la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. Visto che queste persone da giorni sono in condizioni critiche si potrebbe configurare la violazione dell'articolo 3 della Convenzione, che è il divieto di trattamenti inumani e degradanti e la violazione dell'articolo 2, il diritto alla vita”.
Paolo Naso ha in questi giorni ricostruito accuratamente, in un’intervista riportata da Formiche.net, la complessità di quella che ha definito “una crisi umanitaria”, l’assurdità della chiusura dei porti e l’auspicio che a livello europeo si possa coordinare una lungimirante politica migratoria, attraverso una cabina di regia: i “corridoi europei” sono l’unica via da seguire, come ripetuto anche da Christiane Groeben al Nev all’inizio di questa crisi umanitaria. È evidente che in ballo vi è la tutela dei diritti umani e la tenuta democratica nei Paesi europei, oltre alla politica migratoria. E la speranza in un futuro migliore.