Il rinnovamento del Patto
04 gennaio 2019
Per le chiese metodiste un'occasione di testimonianza del loro costante impegno
Molta acqua è passata sotto i ponti da quando nel lontano 11 agosto 1755 venne per la prima volta celebrato il culto di Rinnovamento del Patto a Londra, nella chiesa francese di Spitalfields, alla presenza di 1800 persone, divenendo, come John Wesley successivamente commentò nel suo diario: «un’occasione per varie esperienze spirituali … Non credo che abbiamo mai avuto benedizione maggiore». Da allora, nelle chiese metodiste di tutto il mondo, all’inizio dell’anno o nelle occasioni significative viene celebrato questo culto che sancisce l’impegno e il completo affidamento a Dio della comunità dei credenti, nella consapevolezza che Egli stesso, per primo, offre la possibilità di rinnovare un tale patto con Lui. «Signore, io non appartengo più a me stesso, ma a te. Impegnami in ciò che vuoi, mettimi a fianco di chi vuoi»: così ha inizio la preghiera centrale nel culto di Rinnovamento del Patto.
Ma di che cosa tratta questa tradizione? Essa ha una radice biblica e nel libro del profeta Geremia il contenuto del patto viene da Dio stesso riassunto nell’affermazione: «Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (31, 33b). La Bibbia menziona in varie occasioni un Patto tra Dio e l’essere umano: da Noè ad Abramo, da Mosè fino a quello eterno (berit olam) stabilito con re Davide, e infine per mezzo di Gesù Cristo il Patto viene esteso all’umanità intera.
In ogni caso, è sempre Dio che sceglie la controparte del Patto e che vi si impegna in prima battuta. L’essere umano è chiamato a rispondervi sebbene non sia una controparte uguale a Dio sia nel peso della responsabilità, sia nella fedeltà.
Nella seconda metà del ‘700, in una società gerarchicamente bloccata, celebrare un culto che avesse al centro una tale idea di Patto non era questione di poco conto: illustrava chiaramente l’assunto teologico per cui se la salvezza è per grazia di Dio, nel piano divino l’essere umano, qualunque essere umano, è chiamato a fare la sua parte nel farsi strumento fedele e fiducioso. L’essere umano ha responsabilità nei confronti di Dio e del prossimo per cui non vive la propria fede passivamente. In tal senso, nemmeno la struttura della società può essere accolta acriticamente ma va compresa alla luce del Patto e nell’orizzonte del Regno di Dio.
Come spiega Giosuè al popolo d’Israele (Giosuè 24, 23), accettare di entrare in tale relazione con Dio significa fare una scelta di campo globale, non unicamente relativa al tempo cultuale. La comunità fondata sul patto è plasmata, messa alla prova, vagliata da Dio la cui volontà è che le categorie fragili della società (all’epoca: bambini, orfani, vedove, stranieri) siano rispettate e tutelate, che il cibo sia condiviso, che la terra sia rispettata.
Nel patto, Dio offre promesse di prosperità all’umanità e al popolo d’Israele (discendenza, terra), ma le benedizioni sono frutto della fiducia incondizionata in Dio (cfr. Genesi 22, 16-18) e dell’obbedienza ai suoi comandamenti (Deuteronomio 9, 9ss) tanto che le tavole di pietra su cui vennero scritti vengono denominate «tavole dell’Alleanza».
Secondo alcuni studiosi, il fatto che le «società» metodiste si riconsacrassero ogni anno in un patto con Dio, fu tra le ragioni che determinarono il successo del metodismo e l’influsso positivo che esso esercitò all’interno della compagine sociale. Oggi la visione teologica sottesa al culto di Rinnovamento del Patto probabilmente risulta assodata, ma davvero possiamo dire di essere pronti a vivere il nostro impegno come scelta radicale? E se pure, nella contraddittorietà e durezza del nostro contesto sociale, asseriamo di volerlo fare, come possiamo riuscire a vivere il nostro impegno in modo adeguato, da esseri umani fragili quali siamo?
Dinanzi alla tragica consapevolezza che in questa relazione noi siamo inadeguati e infedeli, ecco che il rimetterci con fiducia a Lui nella preghiera sapendo che siamo stati scelti quali suoi strumenti può darci la forza di continuare nel nostro impegno – come detto nella liturgia del culto relativo – «a ricercare e a compiere la tua perfetta volontà».