L'Italia non è un paese per atei
13 novembre 2018
Il rapporto sulla libertà di pensiero nel mondo rivela tutte le criticità presenti nelle nostre leggi e nella società in materia di laicità e tutela delle minoranze
Ricordarci di non vivere in uno Stato laico è esercizio sempre utile e più che mai necessario. Scoprire di essere la 159° nazione al mondo per la libertà di pensiero dovrebbe infatti far molto molto riflettere.
Insegnamento della religione cattolica a scuola, pagamento da parte dello Stato degli insegnanti di religione, presenza di simboli religiosi nei luoghi pubblici, la strabordante presenza della chiesa cattolica nelle televisioni e sui giornali, in barba a ogni pluralismo, la punibilità della blasfemia. Sono alcuni dei punti critici segnalati dallo studio annuale promosso dall’International Humanist and Ethical Union (Iheu) presentato nei giorni scorsi a Roma alla Camera dei Deputati. Il rapporto contiene la classifica completa di tutti i paesi del mondo in base al livello di discriminazione nei confronti di atei, umanisti e non religiosi.
In particolare viene esaminato come gli individui non religiosi - che si definiscano atei, agnostici, umanisti, liberi pensatori o altrimenti semplicemente non religiosi appunto - sono trattati nel loro Paese. Un focus particolare è sulla discriminazione messa in atto dalle autorità statali; si tratta di forme sistemiche, sociali o giuridiche di discriminazione e restrizioni alla libertà di pensiero, credo ed espressione.
Per queste categorie umane i dieci stati peggiori in cui vivere sono nell’ ordine: Arabia Saudita, Iran, Afghanistan, Maldive, Pakistan, Emirati Arabi Uniti, Mauritania, Malesia, Sudan, Brunei. I dieci migliori: Belgio, Olanda, Taiwan, Nauru, Francia, Giappone, São Tomé e Príncipe, Norvegia, Usa, Saint Kitts e Nevis.
L’Italia ottiene un disastroso 159° posto, appena dietro lo Zimbabwe e appena davanti allo Sri Lanka.
Le macrocategorie prese in considerazione sono Costituzione e Governo, Educazione e Diritti dei bambini, Società e Comunità, Libertà d’espressione. Per ognuna di queste 4 sezioni sono stati utilizzati criteri il più possibile oggettivi di analisi delle normative, delle tipologie di governo, delle principali norme in materia di tutela delle libertà individuali. Le categorie con una classifica peggiore per il nostro paese sono la questione dell’educazione religiosa (dall’insegnamento ai finanziamenti alle scuole confessionali) e le criticità di una società non certamente laica.
Abbiamo dunque solo una quarantina di nazioni alle nostre spalle, quasi tutte teocrazie di matrice islamica conservatrice o sultanati in cui i diritti sono meno di un optional, ma siamo distanti dal grado di laicità e di tutela delle minoranze rispetto a pressoché tutto il resto del mondo.
Se stupisce trovare magari gli Stati Uniti fra le 10 nazioni con un ranking migliore, il report spiega che «Gli Stati Uniti sono notoriamente una terra con una radicata cultura di guerra e una "destra cristiana" molto attiva. Eppure è anche famosa per le protezioni costituzionali estremamente forti, apprezzate dalla magistratura e dal popolo, non ultima la libertà di religione e la libertà di espressione. Ci saranno pressioni sociali per conformarsi alle norme religiose e in alcuni stati o comunità tale tendenza potrebbe essere molto forte. Tuttavia, tali individui hanno possibilità di un ricorso legale, opzioni sociali e una grande tradizione di libertà per sostenerli; Benefici che sono assenti in tanti altri paesi con una prevalenza di presunzione religiosa di alto controllo». Le leggi sono dunque garanti ultime e supreme dell’individuo.
Capitolo interessante quello legato alla blasfemia:
Nel mondo sono 71 i Paesi in cui ci sono restrizioni legali all’espressione della propria blasfemia: in 18 è prevista una multa (fra questi l’Italia in cui la blasfemia è illecito amministrativo dal 1999, mentre in Germania, che nella classifica sta giusto un poco meglio di noi la blasfemia è ancora reato penale), in 46 la prigione, in 7 la condanna a morte (Afghanistan, Iran, Mauritania, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita e Somalia). 18 sono invece gli stati che criminalizzano l’apostasia, l’abbandono formale della propria religione: in 6 è punibile con la prigione (Bahrein, Brunei, Comore, Gambia, Kuwait, Oman) e in 12 con la pena di morte (Afghanistan, Iran, Malaysia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Yemen).
In Italia esiste anche il vilipendio alla religione, questa si prevista ancora dal nostro codice penale
Il report è scaricabile e leggibile cliccando qui.