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Giovanni Ribet: un eroe da ricordare ai giovani

A Pomaretto il ricordo del Maggiore offre l’occasione per riflettere su alcuni valori in un momento storico in cui stanno ritornando nazionalismi e chiusure

Sesto articolo della serie dedicata alla Prima Guerra mondiale e le chiese protestanti italiane. Dopo l'intervista introduttiva allo storico Giorgio Rochat, dopo il pastore Emmanuele Paschetto che racconta cosa il conflitto ha rappresentato per il panorama delle chiese battiste in Italia, dopo la responsabile dell'Archivio storico della Tavola valdese Gabriella Ballesio sulla figura del moderatore Ernesto Giampiccoli, dopo la pastora di Letizia Tomassone con il racconto del ruolo delle donne nel primo conflitto mondiale e dopo l'intervista al pastore Giorgio Tourn sull'importante ruolo dei giornali valdesi durante il conflitto ecco  l'articolo di Michele Vellano: il ricordo di un eroe di guerra, il maggiore Giovanni Ribet di Pomaretto, con una riflessione sui nostri tempi e sul ritorno di pericolosi nazionalismi. Buona lettura.

 

Il 3 novembre scorso, in occasione delle celebrazioni del centenario dalla fine della Prima Guerra Mondiale, il Comune di Pomaretto ha voluto ricordare il Maggiore Giovanni Ribet, ristampando e presentando l’opera, Un eroe, di Placido Bresso, pubblicata nel 1917 e dedicata alla vita e al sacrificio del concittadino. Nel corso della breve cerimonia nell’aula consiliare, in cui sono stati citati i caduti di Pomaretto, le famiglie dei discendenti di Giovanni Ribet hanno donato al Comune la riproduzione della medaglia d’oro al valore militare conferita alla memoria del Maggiore, caduto in azione militare il 14 agosto 1916 sulle alture di Lokvica (oggi Loquizza-Seghetti, frazione del Comune di Merna-Castagnevizza in Slovenia, a pochi chilometri da Gorizia).

La comunità valdese ha conservato negli anni la memoria del Maggiore Ribet e la sua biografia, curata da Luca Pilone, si legge nel Dizionario biografico dei Protestanti in Italia, nonché nel recente volume La grande guerra: storie e memorie valdesi a cura di Davide Rosso e Samuele Tourn Boncoeur. In suo ricordo sono state intitolate una via a Torino, una a Pomaretto, una caserma a Torre Pellice e un ricovero in alta val Germanasca. Il suo nome è inciso in una lapide dedicata alle medaglie d’oro posta accanto all’ingresso della Prefettura in piazza Castello a Torino.

A un secolo dagli eventi bellici in cui il Maggiore Ribet fu chiamato a prendere parte, in qualità di ufficiale di carriera, e in cui si distinse per determinazione e sagacia, meritando, in vita, tre medaglie d’argento e una di bronzo e, alla memoria, una d’oro, il suo ricordo tende però ad affievolirsi e a suscitare interrogativi rispetto ai valori di un’epoca ormai lontana. Molto opportuna è stata, dunque, l’iniziativa del sindaco del Comune di Pomaretto che, nel corso della stessa cerimonia, ha consegnato il testo della Costituzione della Repubblica italiana ai neo diciottenni. Chi era, dunque, Giovanni Ribet e quale insegnamento ci ha lasciato? Egli nacque nella frazione dei Masselli, a Pomaretto, nel 1871 da Thomas, sindaco e conciliatore del paese alle porte della val Germanasca per trentadue anni, e da Marguerite Pastre, frequentò la Scuola latina e poi il Collegio valdese dove fu compagno di classe di Giovanni Rostagno. La sua carriera militare lo portò in giro per l’Italia fino a giungere, poco più che quarantenne, al fronte dove fu impegnato nella prima e nella seconda battaglia dell’Isonzo.

Nel ricordo di Ernesto Comba, pubblicato sulla Luce di Firenze nel 1916, Ribet era «intelligente, studioso, modesto, serio e integro, profondamente religioso (la sua Bibbia lo accompagnava ovunque)». Dalla documentazione storica, emerge, effettivamente, la figura di un ufficiale molto apprezzato dai superiori in grado e amato dai suoi soldati, ma anche profondamente dedito alla giovane moglie e ai quattro figli, nati tra il 1908 e il 1915. Ed è forse questo l’aspetto che più colpisce della sua vicenda. Egli, nell’azione militare che gli fu fatale, conquistò, con il suo battaglione, una prima trincea, quindi ne assaltò una seconda e, una volta circondato e formalmente intimato alla resa, anziché deporre le armi, continuò a difendersi fino all’inevitabile. Compì in quel momento una scelta coraggiosa e coerente che ancora oggi ci deve fare riflettere e che possiamo comprendere e, comunque, rispettare solo se ci sforziamo di recuperare retrospettivamente gli ideali dell’inizio del secolo scorso e che in cento anni, passando tragicamente attraverso un secondo conflitto mondiale, sono mutati.

Oggi i diciottenni di Pramollo hanno la possibilità di passare liberamente le frontiere tra l’Italia e la Slovenia, possono trascorrere periodi di studi, grazie al programma Erasmus, a Vienna, già capitale dell’Impero Austro-ungarico, condividendo pensieri e speranze con giovani provenienti da tutta Europa. Uno scenario che certamente sarebbe apparso desiderabile quanto inverosimile al Maggiore Ribet e ai suoi commilitoni, così come ai militari austriaci schierati nelle trincee avversarie. In un periodo in cui l’Unione europea viene rimessa in discussione, il sovranismo è un neologismo per nazionalismo e ascoltiamo insane proposte di presidiare di nuovo e innalzare muri lungo i confini, il ricordo di ciò che è stato è fondamentale e va trasmesso alle nuove generazioni per renderle maggiormente consapevoli delle straordinarie opportunità e prerogative che hanno a disposizione rispetto al passato.

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