I battisti italiani e la prima guerra mondiale
05 novembre 2018
Fra neutralismo e patriottismo
Prosegue la serie dedicata al centenario dal termine della Prima guerra mondiale. Dopo l'intervista introduttiva allo storico Giorgio Rochat oggi è il turno del pastore Emmanuele Paschetto raccontarci consa il conflitto ha rappresentato per il panorama delle chiese battiste in Italia. Buona lettura.
Il primo decennio del XX secolo segnò una crescita culturale e numerica per l’evangelismo italiano. I battisti, in particolare, scomparse le eminenti figure della prima generazione, poterono contare su un gruppo di giovani pastori ben preparati e attenti ai cambiamenti della società. Tuttavia, il loro interesse per il movimento operaio e per i fermenti del modernismo cattolico, la loro critica del fondamentalismo teologico causarono contrasti nel corpo pastorale e nelle chiese. Con la guerra di Libia del 1911-12 si aprì un altro fronte di divisioni interne fra chi era contrario alla guerra e si appellava all’amore di Cristo e all’impegno per la pace e quanti ricorrevano alla retorica del sacrificio e della missione civilizzatrice dell’Italia.
Fra i battisti, la reazione al conflitto iniziato nel 1914, fu la stessa dell’evangelismo italiano. Nei primi mesi si pensava, in genere, che l’Italia avrebbe fatto bene a rimanere fuori dal conflitto. Nella Chiesa valdese, ancora grata alla monarchia per le Lettere Patenti del 1848, si contava sull’equilibrio del re Vittorio Emanuele III per evitare avventure; un po’ fuori dal coro erano i metodisti episcopali, eredi della Chiesa libera di Alessandro Gavazzi, con una presenza massonica, più propensi a scendere a fianco del Regno Unito. Gli evangelici si trovarono comunque spiazzati nel constatare che le idee positiviste e liberali in teologia che vedevano nel progresso dell’umanità, nel trionfo della ragione e della scienza il preludio del Regno di Dio, venissero distrutte da uno scontro tra le nazioni più «civili» del mondo. Inoltre – nella polemica anticattolica – era diventato difficile vantare la superiorità dei popoli protestanti, visto che si scannavano a vicenda. Se, fino all’intervento del 1915, era prevalsa l’idea che l’Italia dovesse rimanere estranea al conflitto, andava però aumentando l’influenza degli interventisti che sottolineavano la «barbarie» dei militari degli Imperi Centrali.
Dopo l’entrata in guerra cominciò a crescere il «patriottismo» dei battisti. Non era certamente nato un spirito bellicoso, in fondo si sperava sempre nella pace, che però doveva premiare le buone ragioni dei paesi dell’«Intesa». Inoltre, se la guerra assumeva sempre più un carattere ineluttabile, tuttavia bisognava combattere, perché la vittoria degli alleati avrebbe portato alla fine di tutte le guerre.
Con il tempo, le conseguenze della guerra cominciarono a farsi sentire. Il Seminatore, nato come foglio di evangelizzazione e di polemica contro il cattolicesimo, divenne via via bollettino di collegamento fra i militari battisti al fronte e le famiglie e le chiese di provenienza. In molte chiese si formarono gruppi di sostegno ai soldati, spesso condotti dalle donne, che preparavano pacchi con viveri, indumenti, e doni da recapitare al fronte. Spesso i locali di culto vennero adibiti a sale di ritrovo e di lettura per i soldati di stanza in una certa località e il pastore faceva corsi di lettura e scrittura agli analfabeti e tenendo anche spiegazioni bibliche.
Diverse chiese, ormai prevalentemente di donne, rimasero senza pastori, richiamati anch’essi al fronte. Decine furono i caduti, fra questi anche due pastori: Giovanni Arbanasich, tenente degli alpini, di 38 anni, che lasciava moglie e cinque figli, e Eduardo Rocco, sottotenente, appena nominato pastore.
Nel frattempo le offerte dal Regno Unito, in sostegno della Missione in Italia, erano in forte calo, preludio al disimpegno della Missione inglese dal campo italiano, che avvenne dopo la guerra, quando la Missione americana assunse ogni responsabilità.
La rotta di Caporetto esaltò tra gli evangelici italiani quel senso patriottico, che purtroppo impedirà più tardi di accorgersi del pericolo fascista. In tutte le chiese si esultò poi per la giusta «vittoria» dei buoni italiani e la sconfitta dei malvagi austriaci. I battisti, esausti dalla guerra, non raggiunsero più il livello del decennio precedente. Una momentanea fugace riprese avverrà solo nel secondo dopoguerra.