Il lato luminoso del '900
02 novembre 2018
Trovare la pace in un secolo notoriamente conosciuto per i conflitti bellici. È la sfida tradotta in percorso museale multimediale ideata dal Centro Studi Sereno Regis di Torino.
A Torino, per tutto il mese di novembre si guarda al secolo scorso da un punto di vista diverso, ovvero la lente della pace e della nonviolenza. Questo grazie alla mostra realizzata dal centro Studi Sereno Regis 100 anni di pace. La costruzione della pace dal ‘900 ad oggi che inaugura venerdì 2 novembre presso la sala Gabriella Poli in Via Garibaldi 13. Sembrerebbe un’assurdità se pensiamo allo sguardo che di solito diamo al secolo delle guerre mondiali e di innumerevoli altri conflitti. Considerando la natura del Centro vediamo però che si tratta di un’iniziativa legata alla resistenza alla guerra, che negli anni è sempre stata la filosofia del Centro in tutte le sue iniziative. Anche la mostra, che è dedicata a Nanni Salio, presidente del Centro Studi dal 1982 fino alla data della sua morte, si ispira al motto nato proprio con l’ex presidente: ricerca, educazione, azione.
Il percorso si svolge in tre sezioni in un allestimento d’eccezione, ideato dalla scenografa di livello internazionale Paola Bizzarri: una cupola geodetica, unica struttura costruita dall’uomo che si rafforza proporzionalmente all’aumentare della dimensione.
La mostra è transmediale: propone scultura, fotografia, musica e interventi attoriali, tra cui la partecipazione dei giovani attori della compagnia Germana Erba. Inoltre il 1 dicembre, in occasione del finissage della mostra, verrà consegnato il premio Gli occhiali di Gandhi, uno dei premi che il Centro Studi Sereno Regis dà all’interno del Torino Film Festival all’impegno non violento nel cinema, durante il quale verrà proiettato il pre montaggio del lavoro che è stato fatto con i giovani attori presenti nel percorso della mostra.
Ne parla Dario Cambiano del Centro Studi Sereno Regis e co-curatore della mostra.
Come si spiega il titolo di questa mostra?
«Il Centro Studi Sereno Regis è nato 37 anni fa da un gruppo di resistenti alla leva, persone che facevano obiezione di coscienza. Ha questa filosofia ancora oggi e per fare resistenza culturale abbiamo capito che bisogna andare un po’ controcorrente, così ci siamo inventati questo titolo: 100 anni di pace. Possibile che gli ultimi 100 anni siano stati di pace? È nata così l’idea di raccontare una controstoria del ’900, non più come il secolo degli stermini, della Shoah, dell’incubo atomico, del Vietnam e di tutte le terrificanti guerre e decimazioni che ci sono state, ma come il secolo in cui è nata l’idea di piantare il seme della pace condivisa. È il secolo in cui appare la possibilità di poter vivere in pace insieme risolvendo in un’altra maniera i conflitti, rivendicando diversamente i propri diritti. Nel ‘900 nascono centinaia di esperienze e di movimenti di cui non ci rendiamo quasi più conto ma di cui viviamo i benefici in questo momento: a cominciare dal movimento delle suffragiste che hanno rivendicato la parità di diritti tra uomo e donna, o alla grande epopea degli afroamericani che hanno lottato per la parità di diritti a prescindere dal colore. In mezzo a tutto questo ci sono anche Gandhi e l’esperienza mitica, per come ci appare oggi, di Nelson Mandela. La storia è piena di questi personaggi e questi movimenti, fatti di persone anche anonime. Un esempio metaforica per questa mostra sarebbe che non si concentra sugli alberi che cadono, ma sugli alberi che crescono».
In che modo raccontate questa controstoria?
«Nella storia dell’umanità i conflitti si risolvono prima rifiutando, opponendo e distruggendo, poi ricostruendo qualcosa di creativo. La nostra controstoria parte dal rifiuto della guerra che, nel 1914, raggiunge il suo massimo con le prime manifestazioni contro il conflitto; un evento inaudito per la storia dell’umanità: opporsi alla guerra, rifiutare l’asservimento dell’idea di essere servitori della patria o di un clan. Dopo nascono altre esperienze costruttive e, naturalmente, in tutto questo, si forma la consapevolezza delle persone: l’uomo smette di confrontarsi solo con la cultura occidentale e si accorge della altre culture e a un certo punto realizza, soprattutto negli anni ‘60 e ‘70, della necessità di ristabilire un equilibrio tra l’uomo e la natura. Questo secondo me è il capitolo più in divenire che tocca soprattutto noi che siamo testimoni ed eredi di chi ha creato il cambiamento climatico e che non stiamo facendo abbastanza per modificare questa tendenza».