Torino Spiritualità 2018
21 settembre 2018
“Preferisco di no”: dal 26 al 30 settembre incontri, riflessioni, dibattiti per fermarsi e affermare con coscienza che a volte c'è bisogno di non essere d'accordo
Una specie di palestra per imparare a dire no, come individui e come società. Sembra anche questa una possibile lettura del programma di Torino Spiritualità 2018.
Il titolo di questa edizione infatti è “Preferisco di no”, un affermazione, intesa dall'organizzazione del festival, come gentile, serena, ma ferma; una formula che se pronunciata consapevolmente può avere il potere di diventare contagiosa.
Gli intenti della direzione artistica si leggono molto bene attraverso la prima giornata di appuntamenti, il 26 settembre, attraverso l'incontro con Asha Phillips, una studiosa inglese nota in Italia per essere l'autrice de “I no che aiutano a crescere”, un best seller edito Feltrinelli, che ora lavora anche sulla dimensione dell'adultità. Lei ragionerà su come il “no” non sia un principio di esclusione, una barriera, ma uno strumento di unione. Seguirà, alle 21.00, l'incontro al teatro Carignano con Gino Strada, medico chirurgo che con Emergency porta assistenza alle vittime di conflitti e povertà, dal titolo “Verso una nuova resistenza”: un'affermazione contro tutto ciò che minaccia l'umanità delle persone.
Ne parla il direttore artistico Armando Buonaiuto.
Come avete scelto questo tema?
«Volevamo ragionare sul fatto che l'essere umano non è soltanto ciò che fa ma, in determinate circostante, è anche ciò che decide di non fare, di non legittimare e di non avallare. Ci è parso che la formula più adeguata per esprimere questo principio di resistenza fosse “preferisco di no” che ha anche un'eco letteraria perché rimanda al Bartleby di Melville, lo scrivano che ripeteva quasi come un mantra “preferirei di no”. Noi abbiamo tolto il condizionale, che forse esprime un po' di rassegnazione, e l'abbiamo reso più incisivo: un'obiezione ferma, concisa, gentile, non urlata e non scagliata contro l'interlocutore ma che esprime una resistenza intima davanti a qualcosa che non puoi giustificare».
In un festival in cui la spiritualità è sempre il tema di fondo come si integra questa negazione?
«La spiritualità spesso, richiamandoci a un modello di vita che eccede un po' la consuetudine, eccede i conformismi, eccede l'accontentarsi dell'idea di essere ben inseriti nel mondo, ci sprona, si, ad appartenere al mondo, senza però esserne oppressi. Ecco quindi che la spiritualità è una forte via per esprimere un no; ed è un cammino eversivo in qualche modo proprio perché propone degli stili di vita che sono eccentrici rispetto a quella che la realtà e l'attualità ci imporrebbe».
Quindi un programma che si snoda tra spiritualità e politica?
«Direi più etica: un discorso che ci interessa di più, proprio perché ragioniamo sul no dell'individuo, del singolo, sulla propria scelta resistente. Poi chiaramente qualunque prassi ha anche una ricaduta politica ma quello su cui ci interessa porre l'accento è una dimensione di coscienza che poi si esplica in un'attitudine, senza essere tradita o mistificata».
L'attenzione è quindi all'individuo e alle sue scelte piuttosto che alla dimensione più sociale?
«Prima di essere immersi in una realtà sociale sarebbe forse opportuno raccogliersi per maturare consapevolmente il proprio dissenso, per evitare che i “no” che tu scagli nella realtà sociale finiscano per essere il frutto di una vampata momentanea, detti sull'onda del rancore. Raccogliersi per maturare il proprio “no” vuol dire che poi, quando si pronuncia, è totalmente consapevole. Bisognerebbe riuscire a riunire in questa parola la dimensione del cuore, la dimensione dello spirito, la dimensione della mente e la dimensione dell'azione, allora il tuo “no”, è privo di strappi, non si frantuma più nell'impatto col reale ma è un dissenso che può incidere, diventare fecondo ed esemplare. Parte da te e non è detto che non contagi chi ti sta accanto, anzi, a volte il no ronunciato con totale e piena consapevolezza ha una forte capacità di contagiare l'altro».