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Il Signore non ci abbandoni!

Un giorno una parola – commento a I Re 8, 57

Il Signore non ci lasci e non ci abbandoni
I Re 8, 57

I discepoli se ne andarono a predicare dappertutto e il Signore operava con loro confermando la Parola con i segni che l’accompagnavano
Marco 16, 20

Le parole tratte dal libro di I Re si trovano alla fine della lunga preghiera fatta da Salomone alla consacrazione del Tempio di Gerusalemme.

La preghiera, bella e articolata, offre spunti di riflessione assai profondi, come la constatazione di Salomone che il tempio costruito per essere la dimora di Dio, in realtà è solo un simbolo, perché «i cieli dei cieli non ti possono contenere» (cap. 8, vv. 13 e 27).

La supplica «ascolta dal luogo della tua dimora nell’alto dei cieli: ascolta e perdona!» (v. 30), costituisce l’essenza della preghiera, seguita da diversi esempi di momenti difficili che il popolo potrà attraversare – anche per sua colpa – per i quali Salomone chiede la comprensione e la grazia di Dio. 

In questa visione molto umana e di respiro universale rientra la richiesta che anche la preghiera dello straniero possa essere esaudita (v. 49).

«Il Signore non ci lasci e non ci abbandoni» è la conclusione della preghiera. Una conclusione da cui traspare il forte senso di responsabilità del re, già rivelatosi quando aveva chiesto a Dio intelligenza e discernimento per saper governare il suo popolo. Si comprende perché il Signore sia con lui: dimostra umiltà, saggezza e fiducia in Dio.

Purtroppo con il passare degli anni, Salomone prese centinaia di concubine, sia per intessere relazioni politiche con i paesi vicini, sia perché un harem numeroso era segno di grande potenza. Proprio le donne straniere lo trascinarono nell’idolatria e, come ci è rivelato dalle sollevazioni dopo la sua morte, i costi della sua mania di grandezza furono pagati dal popolo. «Così Salomone fece ciò che è male agli occhi del Signore...» (I Re 11, 6).

Nella vicenda di Salomone c’è un grande insegnamento. Se si perdono l’umiltà e il senso della giustizia, se si pensa che la vita possa prescindere dalla fiducia in Dio e ci si esalta per le proprie capacità e la propria forza, si perde il contatto con la realtà, non si vive più della grazia di Dio e si è destinati al fallimento.

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