Bimba rom ferita a Roma. Difficile non pensare a un atto razzista
23 luglio 2018
Toglie il fiato che davanti a una tragedia che colpisce una bimba così piccola le reazioni di solidarietà sono rare e fragili, i media sono timidi e prudenti
Martedì 17, a Roma, intorno alle 18 un gruppo di rom tornava dal parco giochi di via Togliatti quando contro di loro è stato esploso un colpo con una pistola ad aria compressa. Il colpo ha ferito alla schiena Cirasela, una bimba di 15 mesi, che era in braccio alla mamma e ora è all’ospedale: il proiettile ha leso la colonna vertebrale della bimba che ora rischia di rimanere paralizzata. Non si sa ancora chi ha sparato, polizia e carabinieri indagano, ma è difficile non pensare a un atto razzista. È difficile perché sono quotidiani i racconti da parte delle comunità rom e sinte che non appaiono sui giornali e in televisione, che ci raccontano di bombe molotov a Milano, di incendi di camper e macchine parcheggiate davanti ai campi, di aggressioni fisiche nei bar e nei posti pubblici un po’ ovunque.
In questo caso specifico quello che toglie il fiato è che davanti a una tragedia che colpisce una bimba così piccola le reazioni di solidarietà sono rare e fragili, i media sono timidi e prudenti. Da quando razzisti e fascisti sono diventati, anche per i giornalisti, solo “cittadini arrabbiati” molti media danno più spazio alle giustificazioni delle aggressioni razziste che alle vittime innocenti del razzismo. Per questo in una trasmissione televisiva i “cittadini comuni” che commentano quello che è successo a Cirasela dicono: “è giustificato ed è comprensibile”, per arrivare a uno che dichiara: “era un piombino, non era un proiettile, io avrei colpito con un proiettile”. Non so se quella “persona”, quel “cittadino arrabbiato” che ha dichiarato questo davanti alle telecamere sottolineando che non si vergogna minimamente di quello che ha detto, abbia dei figli e una famiglia, se è credente e se va a messa, non so come dorme di notte e come sta con sé stesso. So che per me, dopo il momento di rabbia furibonda, è arrivato un profondo sentimento di solitudine e di sconforto. Come si combatte questo mostro nero che è entrato nelle anime e nelle teste delle persone “normali”? Cosa possiamo fare noi, cosa possiamo dire? Come possiamo proteggerci e proteggere quelli più fragili tra di noi.
Sappiamo perché succede. Sappiamo che dieci anni di campagne di discriminazione e odio contro chi non ha altra colpa che essere diverso hanno coltivato rancore e rabbia in chi ha bisogno di trovare un colpevole al proprio disagio, all’insicurezza del presente, all’incertezza del futuro.
Sappiamo chi ha coltivato questo rancore che un giorno colpisce a morte un essere umano con un altro colore della pelle, un giorno un gruppo di “zingari” che tornano da un campo giochi, domani un essere umano che la pensa diversamente, magari solo perché crede in un dio che si chiama Allah.
Sappiamo che questa onda nera d’odio e di rancore trova oggi nel governo italiano, a dirigere il ministero dell’interno, chi l’ha alimentata e che ora ne coglie i frutti promettendo respingimenti, ruspe e censimenti etnici.
Sappiamo che quest’onda nera sommerge il senso stesso di umanità che ci dovrebbe distinguere e che solo recuperando questo senso d’umanità non ci saranno più madri e bimbi abbandonati a morire in mare, immigrati e “zingari” presi di mira dai vigliacchi in un ormai lungo elenco di violenze piccole e grandi che fanno vivere nella paura intere comunità.
Ma qual è la soluzione, la strada da seguire? Dobbiamo chiedere il nostro Ministro dell’Interno di schierare le forze dell’ordine per proteggerci da quelli che lo hanno votato? O seguire il suo consiglio e dire alla nostra gente di armarsi e appellarsi alla legittima difesa?
No, ci dobbiamo preparare a una lunga battaglia.
Una battaglia non facile perché si tratta di affrontare anche quello che media e politica non affrontano, la malattia di una società che non vede, non vuol vedere quello che la corrode, che le toglie il senso di comunità e la fa guardare fuori da sé, cercando le ragioni del proprio disagio nell’altro, da colpevolizzare e demonizzare. A questo noi serviamo. Per questo nessuno guarda a chi siamo, che valori portiamo con noi. Noi dobbiamo essere solo “zingari”, gli altri solo “clandestini” e perciò una minaccia addirittura per la vostra “cultura”. Ci sono ancora una volta, come sempre, i “barbari” e i civilizzati, ma questa volta dietro i “barbari” si nasconde un male profondo. Quanto spazio, quante tribune, quanti dibattiti occupa la strage quotidiana che scorre nei sottotitoli dei notiziari: “marito uccide la moglie e il figlio…donna uccisa il figlio confessa… violenta e uccide la donna che lo voleva lasciare…? Parricidi, infanticidi sono terribilmente frequenti, ogni due giorni una donna viene uccisa dal compagno, la famiglia è il luogo di questa violenza. Ma tutto questo non è un problema. Ci sono gli zingari che rubano, i musulmani che portano allo scontro tra civiltà, gli immigrati che rendono insicura la vita e minacciano una sostituzione etnica.
Noi crediamo che possiamo dare un piccolo contributo a questa battaglia portando quello che abbiamo: una cultura antica, pacifica e tollerante che non riconosce confini tra i Paesi e gli uomini, per la quale conta più quello che si è di quello che si ha e, soprattutto, per la quale la famiglia è tutto ciò che si ha e una lingua che ci lega ovunque noi siamo. È la cultura che ci ha consentito di vivere e di sopravvivere a secoli di discriminazione e persecuzione e che ci consente anche oggi di affrontare le ruspe di Salvini e l’odio dei suoi sostenitori.
E proprio Salvini ci aiuta oggi a rinsaldare i nostri legami e a farci capire che dobbiamo cercare di condividere questa battaglia con chi ha memoria e riconosce questa onda nera e le conseguenze che porta, insieme con chi oggi rappresenta i nuovi scarti dell’umanità ma nello stesso tempo il suo futuro, con chi cerca nell’altro un fratello e non un nemico.
Per questo il 2 agosto 2018 dalle 14 alle 18 Rom e Sinti saranno in piazza Montecitorio a Roma.
Prima di tutto per ricordare gli ultimi 2.897, donne, uomini e bambini rom e sinti dello Zigeunerlager di Auschwitz Birkenau uccisi nella notte del 2 agosto 1944 e commemorare con loro più di mezzo milione di nostri fratelli e sorelle morti nei campi di sterminio d’Europa.
Poi per affermare che commemorare oggi quella data significa ricordare, imparare e agire in una nuova situazione di difficoltà. Noi siamo figli e nipoti di quelle persone. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che il razzismo non porta un futuro migliore nemmeno per i razzisti, porta solo la ripetizione, in forme diverse, di una storia atroce e devastante per tutti. Lo vogliamo fare insieme alla società civile, cittadini, forze politiche, sociali e religiose determinati ad agire con tutte le forze contro l’onda nera che ci riporta indietro, non soltanto per proteggere noi e i nostri figli, ma in difesa di tutti i cittadini, del nostro essere civili, dei valori della nostra democrazia.