Un territorio più protetto
19 luglio 2018
Le aree protette nella Città Metropolitana di Torino passano da 4.000 a 31.000 ettari. Un elemento di tutela, ma anche un possibile volano per l’occupazione
Dal 13 giugno le aree protette gestite e tutelate dalla Città Metropolitana di Torino hanno moltiplicato la loro estensione, passando da 4.000 a 31.000 ettari. «È un passaggio a dir poco epocale – spiega Gabriele Bovo, dirigente responsabile aree protette della Città Metropolitana di Torino – È merito della Legge regionale 23 del 2015, che stabilisce che la gestione delle aree della Rete Natura 2000 possa essere delegata dalla Regione Piemonte alle Province e alle Città Metropolitane». Con la nuova normativa sono 27 i siti di interesse comunitario a ricevere una nuova forma di tutela, aree che si vanno ad aggiungere a quelle già esistenti e tutelate dalla ex Provincia di Torino.
Che cosa prevede l’attuazione della legge?
«Prevede l’affidamento con durata illimitata di 27 aree Sic (Siti di interesse comunitario) al Servizio pianificazione e gestione rete ecologica, aree protette e vigilanza ambientale della Città Metropolitana. La legge ci consente anche di affidare la gestione di alcune aree a enti terzi. Per esempio, dall’autunno delegheremo sicuramente la gestione di alcune aree al Parco Alpi Cozie, con cui verranno definiti protocolli di collaborazione operativa».
Come verranno gestite le nuove aree?
«La Città metropolitana è chiamata ad un considerevole sforzo, soprattutto in termini di risorse umane e finanziarie, poiché la superficie da gestire e le distanze da percorrere per raggiungere i siti sono nettamente incrementate. Gli obiettivi della gestione sono ovviamente la conservazione e il miglioramento degli habitat e delle specie vegetali e animali protette dalle direttive europee. Dovranno essere effettuati monitoraggi sullo stato di conservazione dei siti e si dovranno programmare gli interventi diretti o indiretti ritenuti necessari per la loro buona conservazione.
Fra le azioni dirette vi sono gli interventi programmati nei piani di gestione: la realizzazione o il ripristino di aree idonee alla riproduzione, come gli stagni e gli ambienti umidi per gli anfibi, ma anche l’eradicazione di specie esotiche invasive che minacciano quelle autoctone: animali come il gambero della Louisiana, che minaccia quello nostrano; specie botaniche, come l’ailanto, la fitolacca, l’acero negundo, la fallopia, che invadono vaste superfici a discapito della vegetazione spontanea autoctona. I piani di gestione possono anche prevedere la realizzazione di ecodotti per l’attraversamento di strade e ferrovie, per evitare lo schiacciamento degli animali, oppure la realizzazione di fasce forestali tampone per filtrare le acque di scolo dei campi agricoli prima che defluiscano in laghi e fiumi. Fra le azioni indirette rientra il monitoraggio della presenza di specie di recente reintroduzione o rare, come il lupo, ritornato naturalmente da pochi anni nelle Alpi occidentali. Controllare la diffusione di specie vegetali ormai rarissime in contesti lacustri e paludosi, come la marsilea quadrifolia o l’aldrovanda vesiculosa, consente di ottenere informazioni scientifiche che possono orientare le azioni dirette di tutela e conservazione».
Tutto questo potrà favorire un aumento dell’occupazione?
«I processi di delega dalla regione alla Città Metropolitana di Torino porteranno anche a una erogazione di fondi per poter gestire a livello economico e di risorse umane questi spazi. La Città Metropolitana avrà dunque bisogno di specialisti quindi di naturalisti, agronomi e forestali e di personale amministrativo per gestire le pratiche di valutazione e incidenza, cioè quelle autorizzazioni dovute su ogni intervento che possa eventualmente danneggiare o modificare gli habitat tutelati. Nel caso la valutazione non sia stata richiesta e ottenuta, la Città Metropolitana è tenuta ad applicare ai trasgressori le sanzioni previste dalla legge e ad emettere un provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi. Sarà importantissima anche la vigilanza nei siti della rete Natura 2000, che sarà dagli agenti faunistico-ambientali con la collaborazione delle Guardie Ecologiche Volontarie. Quindi sicuramente ci sarà bisogno di rinforzi anche se continueremo ad appoggiarci all’Arpa e alle altre strutture regionali che già ci sono ed operano in questo settore».
Riassumendo i nuovi 27 siti di interesse comunitario sono: l’Oasi del Prà-Barant e le Stazioni di Myricaria Germanica in val Pellice, il Bosco di Pian Prà a Rorà, Champlas du Col e il Colle Basset a Sestriere, le Boscaglie di Tasso di Giaglione in Val Clarea, il Pian della Mussa a Balme, la Val Thuras, Cima Fournier e il Lago Nero a Cesana Torinese, la valle della Ripa–Argentera a Sauze di Cesana, le Oasi xerotermiche di Auberge, Amazas e Puys a Beaulard e Oulx, le pendici del Monte Chaberton, la Val Fredda, Les Arnauds e Punta Quattro Sorelle a Bardonecchia, Arnodera e il Colle Montabone a Gravere, Meana e Susa, il Lago di Maglione, lo Stagno interrato di Settimo Rottaro, i laghi di Ivrea, la Morena destra d’Ivrea nei comuni di Scarmagno e Torre Canavese, i laghi di Meugliano e Àlice Superiore in Valchiusella, gli Stagni dei Favari di Poirino, i Boschi e le paludi di Bellavista a Pavone Canavese e Ivrea, la Palude di Romano Canavese, il Monte Musinè e i Laghi di Caselette, i Boschi umidi e gli stagni di Cumiana. Queste nuove aree si aggiungono a quelle già esistenti: il Parco naturale Colle Lys, il Parco naturale Conca Cialancia, il Parco naturale Lago di Candia e la Riserva naturale Monti Pelati nell’eporediese, il Parco naturale Monte San Giorgio, il Parco naturale Tre Denti – Freidour, il Parco naturale Rocca di Cavour, e la Riserva naturale Stagno di Oulx.
La speranza è che queste novità potranno anche favorire un turismo lento, basato sul rispetto degli ambienti e sulla curiosità scientifica, da vivere come una ricchezza e un’occasione di sviluppo culturale, sociale ed economico, magari grazie alle opportunità offerte dai bandi europei e dai Piani di Sviluppo Rurali della Regione Piemonte.