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L’universalità della chiamata alla lode

Un giorno una parola – commento a Salmo 103, 22

Benedite il Signore, voi tutte le opere sue, in tutti i luoghi del suo dominio! Anima mia, benedici il Signore!
Salmo 103, 22

Siate ricolmi di Spirito, parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore
Efesini 5, 18-19

Il Salmo 103 è un inno di lode a Dio per la sua misericordia (hésed) che scaturisce dalla sua bontà, e che vediamo all’opera nelle azioni che compie tra tutti gli esseri umani e nell’intero creato. Il salmista invita il popolo e la creazione a partecipare alla lode per gli interventi divini in favore delle creature. Il Salmo contiene espressioni molto arcaiche (di rara bellezza) integrate in formule di culto più familiari al tempo di composizione. L’idea dominante è quella di Dio seduto sul trono circondato dalla sua corte di elohim (i poteri celesti, gli eroi al servizio divino, i messaggeri che eseguono gli ordini del Signore), parola che significa qui soprattutto angeli o servitori sottomessi alla parola e volontà divina.

Siamo invitati ad essere parte di questa lode universale che inizia «dinanzi al trono», condivisa da tutti gli esseri viventi frutto della creazione divina e che vuole integrare in essa pure ogni essere umano. Sorprende l’universalità della chiamata alla lode: nessuno è escluso. La volontà salvifica divina, la sua misericordia che scaturisce dalla bontà (dall’abisso accattivante, seducente, amorevole dell’essere divino) è il vero e unico proposito della storia. Il nostro testo ci invita a benedire habaruch (il Benedetto), colui che benedice. La conclusione di ogni creazione divina era la «beraha» di Dio, Dio benedice, nel senso che accompagna, preserva, rende fertile la vita delle creature. Siamo dunque invitati a benedire e non a maledire, perché come si potrà maledire quelli che il Benedetto (Santo è il suo Nome) ha coinvolto nel suo benedire eterno?