Vantarsi delle proprie debolezze
22 maggio 2018
Un giorno una parola – commento a II Corinzi 12, 9
Il Signore protegge i semplici: io ero ridotto in misero stato ed egli mi ha salvato
Salmo 116, 6
Paolo scrive: Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me
II Corinzi 12, 9
Come si fa a vantarsi di ciò che non si ha? Oppure, come si fa a vantarsi di un qualcosa che rappresenta una vergogna, un punto a sfavore, qualcosa da nascondere? Siamo abituati alle passerelle, ai riflettori puntati, ai red carpet in cui tutto viene messo in mostra; viviamo nell’epoca delle vetrine, dei reality show, delle finestre virtuali, dei social networks, in cui vengono esibiti e «condivisi» trofei, capolavori culinari, momenti di intimità, vittorie raggiunte, pensieri e massime. In un contesto del genere, chi di noi oserebbe pubblicare su Instagram una foto della parte meno bella di sé?
Chi di noi scriverebbe su Facebook un post autocritico? Se proprio bisogna mostrarsi – ed il bisogno nasce dal desiderio di conformarsi alla maggioranza –, sarà meglio farlo per ciò che di più buono abbiamo! In questo meccanismo che si ripresenta dall’origine dei tempi, le parole del versetto di oggi sembrano scagliarsi contro la normalità, quasi a turbarla.
Come vantarsi delle proprie debolezze? Siamo, sì, abituati all’anticonformismo paolino, ma perché gloriarsi proprio di ciò che potrebbe rappresentare un tormento, un elemento di sconfitta, una situazione imbarazzante? Perché rinunciare a mostrare qualche piccolo risultato raggiunto? Forse che il cristianesimo lo proibisca? Più che di proibizione, qui si tratta di opportunità, di convenienza personale. Paolo ci spiega che senza la nostra debolezza, senza quell’evidente piccolezza tipicamente nostra, senza la nostra ridondante umanità, saremmo tentati (e non saremmo i primi) di fare a meno anche di Cristo.
E invece no, dice Paolo, che venga pure la mia debolezza, benedetta debolezza, grazie alla quale la potenza di Cristo mi è necessaria, grazie alla quale mi convinco ancora di essere infinitamente piccolo, tanto da non potermi sostituire al mio Signore. Allora mi glorierò di ogni mia debolezza perché «quando sono debole, allora sono forte» (2 Corinzi 12, 10).