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Fondo Africa, è giusto finanziare le motovedette libiche?

Intervista con Giulia Crescini (Asgi) avvocata specializzata in diritto dell’immigrazione, a proposito di un ricorso che potrebbe mettere in discussione l’impianto della strategia italiana nel Mediterraneo

Un nuovo ricorso potrebbe mettere in dubbio l’impianto del Memorandum Italia-Libia, sottoscritto da Roma e Tripoli il 1 febbraio 2017 «al fine di raggiungere soluzioni relative ad alcune questioni che influiscono negativamente sulle Parti, tra cui il fenomeno dell'immigrazione clandestina e il suo impatto, la lotta contro il terrorismo, la tratta degli esseri umani e il contrabbando di carburante». Il 4 maggio 2018, infatti, il Consiglio di Stato ha riconosciuto all’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) la legittimità a impugnare davanti al Tar del Lazio il decreto con cui il ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale aveva accordato al ministero dell’Interno un finanziamento di 2 milioni e mezzo di euro alla Libia per attrezzature e attività da destinare al rafforzamento delle autorità libiche.

Il ricorso fa in realtà riferimento alla legittimità dell’utilizzo di parte delle risorse stanziate con il decreto del Fondo Africa per sostenere e supportare le autorità libiche nelle pratiche di blocco delle persone migranti che tentano la fuga dalla Libia, dove sono sottoposte a detenzione, torture e violenze. A proposito dell’iniziativa italiana, inserita nella legge di bilancio di fine 2016, nel febbraio 2017 il ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, Angelino Alfano, annunciava lo stanziamento di «duecento milioni per cooperazione sul contrasto all’immigrazione irregolare, per fermare le partenze e stroncare il traffico di esseri umani». Con quel decreto il ministero annunciava di aver «dato il via ad alcune misure necessarie e strategiche per il rafforzamento della frontiera esterna e per il contrasto ai flussi di migranti irregolari». Il Fondo Africa, insomma, doveva servire agli «interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratori», ma secondo Asgi parte del denaro è stato utilizzato per l’esternalizzazione delle frontiere.

«L’abbiamo impugnato – racconta Giulia Crescini, avvocata specializzata in diritto dell’immigrazione e collaboratrice di Asgi – innanzitutto perché è a tutti gli effetti uno sviamento della destinazione di questi fondi». In particolare, l’attenzione è concentrata su 2,5 milioni di euro impiegati per la rimessa in efficienza di quattro motovedette da consegnare alla Guardia costiera libica. «Questi fondi – prosegue Crescini – devono essere destinati alla cooperazione e al dialogo con i Paesi maggiormente interessati dal fenomeno migratorio. Ovviamente tra questi ci sono i Paesi di origine e di transito, tra i quali innegabilmente figura la Libia. Il punto è che per il nostro diritto costituzionale, per le nostre leggi di diritto primario, non è possibile considerare legittimo un finanziamento che vada a rafforzare le autorità libiche che, ormai è sotto gli occhi di tutti e nessuno può negarlo, effettuano dei trattamenti disumani e degradanti e commettono delle atrocità e delle violenze nei confronti dei migranti, quegli stessi che salvano con le motovedette date dall’Italia».

Su cosa avremmo potuto utilizzare legittimamente questi fondi, con riferimento alla Libia?

«Il Fondo Africa è stato realmente utilizzato anche per altri finanziamenti: per esempio, sono stati dati dei soldi a delle organizzazioni non governative al fine di migliorare le condizioni di accoglienza dei centri di detenzione, dei centri di accoglienza in Libia. Il punto è che se questo è sicuramente un finanziamento legittimo, perché intende migliorare le condizioni di accoglienza, non lo è con le modalità con cui è utilizzato da parte dell’Italia». Che cosa significa? «Quando siamo andati di fronte al tribunale amministrativo del Lazio per sollevare l’illegittimità di questo finanziamento dato alla Libia, il ministero degli Affari Esteri ha in qualche modo legittimato il fatto che l’Italia stia rafforzando le autorità libiche affermando che l’Italia sta anche migliorando le condizioni di accoglienza, dando soldi appunto alle ong, a Unhcr e all’Oim. Noi crediamo che se da un lato sia giusto provare a migliorare le condizioni di accoglienza e di detenzione in Libia, dall’altro non va bene legittimare il rafforzamento di un’autorità criminale come quella libica e provare a legittimare in questo modo anche quelli che abbiamo chiamato “respingimenti delegati”».

Avete avuto questa legittimità a tornare davanti al Tar del Lazio, il Consiglio di Stato ha deciso che si può procedere. Quali saranno quindi i prossimi passi?

«Il prossimo passo sarà chiedere un’udienza urgente al Tar del Lazio, così come appunto statuito dal Consiglio di Stato. Finalmente dopo quasi dieci mesi di ricorso al Tar del Lazio il giudice amministrativo non si potrà più esimere dal decidere nel merito della questione. Fino a oggi, infatti, aveva cercato di rimandare la decisione basandosi su delle questioni di inammissibilità, che sono però state tolte di mezzo da parte del Consiglio di Stato».

Qualora dovessero essere ravvisate forme di illegittimità in questo stanziamento, dove si potrebbe arrivare? Che cosa cambierebbe?

«Bisognerà vedere la pronuncia del giudice, perché se dovesse affermare che l’Italia non può dare dei finanziamenti e non può sostenere, anche logisticamente, l’autorità libica, perché questa commette delle atrocità nei confronti delle persone migranti, allora gran parte di quello che è previsto proprio dal memorandum Italia-Libia decadrebbe e le persone finalmente riuscirebbero a scappare con più facilità. Il governo italiano si compiace del risultato raggiunto, cioè il 64% di sbarchi in meno sulle nostre coste, ma ricordiamoci che quando arrivano meno persone significa che molte di più sono intrappolate in quello che comunemente è definito l’inferno libico».

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