Viaggio in Italia
04 maggio 2018
Al Mart di Rovereto si ripercorre la storia dell'800 attraverso il cambiamento nella rappresentazione del paesaggio
Il percorso è un viaggio in Italia da Sud a Nord, attraverso le esperienze dei primi decenni dell'800 intorno a Napoli, alla scuola di Posillipo e alla cosiddetta scuola dei Portici, attraverso la figura di De Nittis che proprio da Napoli si trasferirà prima a Firenze e poi a Parigi. C'è poi l'esperienza toscana dei pittori macchiaioli che intorno al 1861 conduce verso la pittura che poi verrà declinata in maniera diversa attraverso l'esperienza della scuola lombarda e della scuola ligure. C'è Antonio Fontanesi, un maestro a cui viene dedicata una sala in quanto apripista della nuova concezione di paesaggi di stati d'animo, paesaggi dell'anima, che troverà in Segantini, quindi risalendo verso nord Italia alla fine del secolo, uno dei suoi interpreti più coinvolgenti. Si arriva all'ultima sezione della mostra per veder interpretato il paesaggio come simbolo con i paesaggi simbolisti e divisionisti di Previati, Pellizza da Volpedo e Angelo Morbelli.
Ne parla la curatrice Alessandra Tiddia.
Il cambiamento sembra essere un elemento fondamentale nel percorso della mostra, in che senso il paesaggio ne è un simbolo?
«Il paesaggio, in questa mostra al Mart di Rovereto, è analizzato nel secolo delle più grandi innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche. Come dicevano i fratelli de Goncourt, il paesaggio è stata la vera grande rivoluzione dell'arte figurativa dell'800, proprio perché in questo secolo emergono alcune innovazioni importantissime; tra queste, per esempio, i trasporti: i primi voli in mongolfiera fanno vedere un paesaggio dall'alto, non è più necessario arrampicarsi sui belvedere; il paesaggio viene visto da Ippolito Caffi nel suo viaggio in mongolfiera sopra Roma. Il treno accorcia le distanze, motivo per cui molti artisti si recheranno a Parigi, a Londra, a Berlino o per gli stessi movimenti all'interno dell'Italia che si è appena unita, che diventano molto più semplici. Ma il treno crea proprio un paesaggio in movimento, inquadra il finestrino, inquadra tanti paesaggi che si succedono e quindi ne cambia la percezione fra gli artisti. Ricordiamoci inoltre che l'800 vede la scoperta e l'introduzione di una nuova tecnica di riproduzione dell'immagine, che è la fotografia».
Grazie alla fotografia e alla nuova percezione della luce, cosa cambia nella pittura?
«Diciamo che i macchiaioli e la scuola di Posillipo a sud, a Napoli, fanno si che i pittori escano all'aperto e ci riportino nelle loro tele la luce vera, non quella artificiale degli studi e degli atelier, ma la luce e i mutamenti nel corso delle giornate, sulle coste amalfitane o sulle coste di Viareggio o della campagna toscana. Questo uscire all'aperto implica un confronto con il principio di verità, con la realtà. La luce però viene anche vista all'alba, al tramonto, nel succedersi delle stagioni, e viene assunta via via dagli artisti anche come elemento in grado di esprimere una loro interiorità, una loro percezione di quell'alba, di quel tramonto, di quel riflesso di luce. Infatti molti quadri, verso la seconda metà dell'800, hanno un riferimento molto chiaro anche nel titolo agli effetti di luce, alla rifrazione su uno specchio d'acqua o in laguna. Ed ecco quindi che la luce diventa un vettore simbolico attraverso il quale la soggettività dell'artista diventa una laguna, piuttosto che una marina o un paesaggio d'alta quota».
Potremmo dire che l'emersione dell'individualità del pittore attraverso il paesaggio sia la grande rivoluzione di questo periodo?
«Diciamo che i tempi, la cultura dell'epoca, la letteratura, la cultura figurativa la cultura scientifica e tecnologica, portano da un'illusione di poter riprodurre la realtà come essa è, alla consapevolezza che la realtà passa dal filtro dell'interpretazione soggettiva attraverso l'occhio dell'artista. Di per se il paesaggio non esiste, esiste nel momento in cui uno strumento, che sono gli occhi, inquadrano una porzione di terra, di cielo, di mare, di fiori. In quel momento, attraverso un'operazione concettuale, definiamo un paesaggio che è anche identità, memoria, vissuto; qualcosa di profondamente legato all'occhio di chi lo contempla».