Di nuovo in cammino per il Congo
23 aprile 2018
È partita da Reggio Emilia domenica 22 aprile, con destinazione la sede delle Nazioni unite a Ginevra, una nuova marcia per chiedere un nuovo mandato per la missione Onu nella Repubblica Democratica del Congo
La Repubblica Democratica del Congo è il simbolo paradossale di uno sfruttamento che non è mai terminato: ricco di risorse naturali come pochi altri luoghi al mondo, ma contemporaneamente uno dei luoghi più poveri e più violenti. «Il paradiso è diventato sempre più un inferno», raccontava alcuni anni fa John Mpaliza, un ingegnere informatico nato proprio nella Repubblica democratica del Congo, che da 23 anni vive in Italia e che a partire dal 2013 è diventato Peace walking man, un camminatore per la pace. Oggi le violenze nel Paese, che si protraggono da almeno due decenni, sembrano crescere ancora.
Proprio per questo, domenica 22 aprile è partita da Reggio Emilia una nuova iniziativa, nata dal comitato Stand4DRCongo, costituito da 30 studenti delle scuole della zona, con cui si vuole rompere il silenzio sulla condizione del Paese e dei suoi cittadini. La marcia, che arriverà il 26 maggio a Ginevra, ha l’obiettivo principale, spiega John Mpaliza, di «arrivare alla sede Onu con una lettera scritta dagli studenti e che sarà consegnata alla Commissione Diritti umani e indirizzata al Segretario generale dell’Onu». Con questa iniziativa si chiede che le regole di ingaggio della missione Monusco, la missione Onu per la stabilizzazione del Congo, che comprende 20.000 caschi blu da quasi due decenni, vengano modificate in modo che possano realmente e concretamente intervenire a protezione della popolazione. «Le persone – prosegue Mpaliza – vengono sgozzate, le donne vengono violentate e questo avviene da ormai vent’anni in silenzio ma sotto l’occhio vigile proprio dell’Onu».
Situata al centro del continente africano, la Repubblica democratica del Congo è uno dei Paesi più ricchi di risorse minerarie al mondo. Una leggenda racconta che Dio, mentre stava creando il mondo, sia inciampato nel Kilimangiaro e il sacco pieno di minerali che aveva sulla testa si sia rovesciato sul Congo. Questa ricchezza nel corso dei decenni è diventata una disgrazia, attirando gli interessi di quasi tutti i paesi occidentali, interessati a imporre il proprio controllo sull’estrazione delle risorse, arrivando a supportare i conflitti e a finanziare i guerriglieri per tenere bassi i costi di estrazione. Al centro di tutto, la complicità del governo di Kinshasa e del presidente Joseph Kabila, il cui ultimo mandato costituzionale è scaduto il 19 dicembre 2016 e che a tutti gli effetti guida il Congo in modo illegittimo.
Oltre che il primo Paese per risorse naturali, la Repubblica Democratica del Congo è anche il secondo Paese al mondo per numero di profughi: nel solo 2017, sono state 4,3 milioni le persone fuggite dalle proprie case, il 40% delle quali solo nell’ultimo anno. Su una popolazione di 80 milioni di persone, inoltre, sono almeno 13 milioni gli abitanti afflitti dalla crisi umanitaria e a rischio sopravvivenza, 6 milioni in più rispetto alla fine del 2016, e 2,2 milioni i bambini con gravi problemi di malnutrizione.
Da quando sul finire del 2016 il presidente Joseph Kabila, al potere da oltre 17 anni e succeduto a suo padre Laurent-Désiré, ha rifiutato di lasciare il potere dopo due mandati nonostante quanto previsto dalla Costituzione, la situazione è precipitata. «Non riesco più a immaginare una qualche speranza se Kabila rimane al suo posto», aggiunge John Mpaliza. «Noi continuiamo a pensare che si debba arrivare a una transizione cittadina senza Kabila e senza tutti quelli che sono intorno, perché c’è stata fin troppa pazienza da parte del popolo congolese». Il 31 dicembre del 2016, a mandato di Kabila già scaduto, la conferenza episcopale congolese aveva evitato che la situazione precipitasse favorendo un accordo per cui il presidente avrebbe prorogato la sua permanenza al potere per un anno a patto di indire elezioni entro la fine del 2017. Superato questo termine senza avere risposte, le comunità cristiane del Paese, tanto quelle laiche quanto quelle religiose, hanno promosso delle marce pacifiche per chiedere le dimissioni del presidente, ma quelle che erano iniziative di pace sono state sistematicamente represse nel sangue dall’esercito e dalla polizia. Inoltre, dall’inizio del 2018 sono scoppiati nuovi scontri etnici nell’estremo nord-est del Paese e un sacerdote cattolico è morto in circostanze misteriose e sepolto senza neanche l’autopsia.
«Le elezioni – ricorda Mpaliza – sono previste per il 23 dicembre di quest’anno, però sappiamo già che non ci saranno e nel caso ci fossero parteciperanno soltanto i candidati approvati dal presidente o comunque quelli legati a lui, perché molti esponenti delle opposizioni sono all’estero o in esilio. Quindi partiamo già sapendo che nulla sarà fatto, l’unico modo è trovare il sistema per far sì che la popolazione, come in tanti altri paesi, riesca a mandare via Kabila per mettere in piedi una transizione civica che potrà portare il popolo congolese verso delle elezioni democratiche e credibili».
La marcia, che è partita domenica 22 da Reggio Emilia, prevede diverse iniziative lungo il percorso, che attraverserà anche Alessandria e Asti, fino ad arrivare a Torino. Attraverso la Val Susa si raggiungerà la Francia, poi Chambéry e infine l’arrivo a Ginevra, sabato 26 maggio.