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Affidarsi alla pura grazia di Dio

Un giorno una parola – commento a II Samuele 15, 26

Eccomi, il Signore faccia di me quello che vorrà
II Samuele 15, 26

Simon Pietro rispose a Gesù: Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli»
Giovanni 21, 15

«Eccomi, il Signore faccia di me quello che vorrà»: è il re Davide a pronunciare queste parole, in un momento di grande difficoltà; egli sta fuggendo da Gerusalemme per sfuggire alla spietatezza del figlio Absalom, che ha organizzato una congiura contro di lui. Queste parole concludono un discorso con cui il re rifiuta di essere accompagnato nella sua fuga dall’arca di Dio, rimandandola a Gerusalemme.

Per un popolo come quello di Israele, per cui il potere socio-politico era legittimato direttamente da Dio, questo gesto avrebbe potuto essere interpretato come l’espressione del cedimento di un re ormai anziano al suo giovane avversario. Infatti, l’affermazione «Eccomi, il Signore faccia di me quello che vorrà» ha come premessa l’ipotesi che Dio non lo sostenga più come il re legittimo («Se il Signore dice: “Io non ti gradisco”»).

La fede come rassegnazione, quindi? Nient’affatto! Davide, in realtà, si affida completamente al favore e alla volontà di Dio: «se io trovo grazia agli occhi del Signore, egli mi farà tornare», anche senza l’arca e i sacerdoti. È questa di Davide la pura fiducia della fede, un affidarsi totale a Dio, che rinuncia a tutti gli “strumenti” visibili, in uno slancio delle profondità del cuore verso il proprio Signore.

L’esempio di Davide ci indica che, nei momenti di maggiore difficoltà della nostra esistenza, non serve a nulla aggrapparsi disperatamente ai nostri usuali mezzi di sopravvivenza religiosi, bensì affidarsi alla pura grazia di Dio con la nostra semplice fede, accettando la Sua imperscrutabile volontà.

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