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Legge Zampa, un anno tra luci e ombre

Le misure per la protezione dei minori stranieri non accompagnati non sono ancora state rese interamente operative, ma la risposta della società civile è stata importante

Il 7 aprile 2017 il Parlamento italiano approvava la legge 47/2017, Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, più nota come “Legge Zampa”, dal nome della sua prima firmataria, Sandra Zampa, nella scorsa legislatura deputata del Partito Democratico e vicepresidente della Commissione infanzia della Camera. La norma si rivolge ai minorenni non comunitari che si trovano, come recita il testo, “per qualsiasi causa” nel territorio dello Stato o che in generale sono sottoposti alla giurisdizione italiana, privi di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori, quindi una categoria vulnerabile in un contesto, quello delle migrazioni, già di per sé delicato.

Nella legge si ribadisce innanzitutto il divieto di respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati, un elemento non innovativo ma considerato necessario. «Quando in passato si sono respinti dei minori – spiega infatti Sandra Zampa, prima firmataria della norma – veniva sempre fatto in maniera illegale, perché questa posizione discendeva già non solo dalla convenzione Onu dei diritti dell’infanzia, ma anche da norme italiane già esistenti. È un principio di civiltà, ma i fatti oggi ci dimostrano che i principi di civiltà sono continuamente violati». Secondo il rapporto Minori stranieri non accompagnati lungo le frontiere nord italiane, promosso da Intersos con il supporto di Open Society Foundation nel corso del 2017, sono per esempio molte le violazioni commesse dalla polizia di frontiera francese. Il Regolamento di Dublino e la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea prevedono infatti che i minori non accompagnati che presentano domanda d'asilo in Francia non possano essere rinviati in Italia.

«A differenza degli adulti – chiarisce Zampa – per i minorenni non vale Dublino, non si applica il criterio del paese di primo ingresso». Come denunciato il 10 aprile da Intersos, Asgi, Terre des Hommes, Oxfam, Caritas di Ventimiglia e Diaconia Valdese, invece, ai minori fermati dalla polizia francese non vengono riconosciuti i diritti previsti dalla norma: non solo, infatti, i minori fermati non vengono messi nella condizione di presentare domanda di asilo, ma il respingimento viene effettuato immediatamente, senza attendere la scadenza del termine di 24 ore previsto dalla legge francese. Un comportamento che espone i minori, che tentano nuovamente di attraversare la frontiera, al controllo dei trafficanti e in alcuni casi al rischio della vita.

Secondo il rapporto presentato da Intersos, le mancanze sono gravi anche sul piano italiano, soprattutto a causa dei tempi di esame delle domande di ricongiungimento famigliare e alla mancata informazione nei confronti di minori e alle condizioni dei centri di accoglienza. «occorrerebbe – riflette Zampa – attivarsi molto di più perché se nell’aspirazione di un giovane c’è di andare a raggiungere la comunità, i parenti, gli amici in altri Paesi andrebbero accompagnati senza mettere di nuovo a rischio le loro vite, perché magari per andarsene si nascondono e ricominciano avventure che li mettono in pericolo. A oggi comunque non risultano respingimenti di minori». Per contro, sulle garanzie in merito all’espulsione di un minore straniero il percorso sembra molto più accidentato. «È complicato dare un giudizio su questo – chiarisce Zampa – e sarebbe opportuno che i magistrati minorili, che sono considerati dalla legge come interlocutori privilegiati, fossero più presenti nel tentativo di arrivare a un decreto attuativo. È abbastanza sconsolante il fatto che sia trascorso un anno, dovrebbe preoccupare tutti al di là del punto e del tema di cui stiamo discutendo».

C’è però un altro aspetto della Legge Zampa che racconta una storia differente, quella della risposta della popolazione civile nei confronti della condizione dei minori stranieri non accompagnati. In questo primo anno poco meno di 4.000 cittadini hanno dato la loro disponibilità a diventare tutori volontari di un minore non accompagnato, come riferito dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza a fine febbraio. «Si tratta di un dato significativo – commenta la garante Filomena Albano – che dimostra la straordinaria partecipazione con cui le persone stanno rispondendo all’appello a fare da guida ai tanti ragazzi che arrivano nel nostro paese senza adulti di riferimento. Un patrimonio di generosità e solidarietà che non può e non deve andare perduto». Le candidature, distribuite in tutto il Paese, vedono Lazio, Piemonte e Lombardia davanti a tutti. Si tratta di uno degli aspetti più innovativi di questa legge e che conferma, secondo Sandra Zampa, «che in realtà la società è pronta a cambiamenti». Secondo il rapporto presentato dall’Autorità garante, si tratta in prevalenza di donne, quarantenni, laureate, che hanno deciso di prendersi cura di persone che vanno considerate parte del futuro del nostro Paese. Secondo lo spirito della legge, queste persone mettono a disposizione un po’ del proprio tempo per accompagnare il percorso di integrazione dei minori stranieri non accompagnati. «Si stanno già avviando – racconta Zampa – anche gli apparentamenti, cioè un ragazzo o una ragazza viene abbinata al proprio tutore, poi questi tutori una volta iscritti nell’albo dei tribunali minorili si prenderanno cura di loro in misura diversa, perché ogni caso è una storia a sé».

A differenza dei casi di affido, ai tutori volontari non è richiesto di vivere con i ragazzi di cui si prendono cura e che in genere si trovano in famiglie, oppure in comunità e case alloggio. «Semplicemente – spiega ancora Sandra Zampa – hanno il compito di controllare, aiutare a sbrigare pratiche burocratiche come quelle per il permesso di soggiorno, ma anche di verificare il percorso che è stato immaginato per loro, quindi la scolarizzazione, la formazione professionale. Certo, poi il fatto che uno diventi tutore implica ovviamente che ci si prenda cura di un altro, per cui spesso nascono amicizie e legami straordinari. Quando si scelgono le cose e si amano le persone per scelta, non solo perché sono tuoi parenti e in qualche modo ti senti obbligato io credo che sia un’esperienza anche personale straordinaria».

Più difficile sembra invece il percorso dell’affido famigliare, che paga in realtà una generale difficoltà del sistema italiano. Molto dipende dall’Anci e dalla sua capacità di dare impulso alla creazione di un sistema di affidi a livello comunale. «È evidente che un comune che attiva un sistema di affidi produce prima di tutto un grandissimo risparmio, perché la famiglia riceve un sostegno economico, ma ovviamente è più basso di quanto non venga invece a costare una comunità alloggio. Al tempo stesso però, vale soprattutto il discorso per cui quando parliamo di minori la famiglia è sempre preferibile. Ho visto un’esperienza simile in Olanda e devo dire è un modello eccellente». Un bilancio con luci e ombre, insomma, ma con un potenziale da non disperdere.

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