Un dialogo per immagini tra arte sacra e disabilità
28 febbraio 2018
La visione di Adamo Antonacci e le fotografie di Leonardo Baldini in mostra ai Musei Vaticani
Arte e disabilità secondo il pensiero e l’interpretazione di Adamo Antonacci, ideatore, realizzatore e curatore del progetto Divine Creature: una serie fotografica che, nel corso dell’ideazione, lo stesso Antonacci aveva paura risultasse troppo forte a causa dell’incursione nel mondo della rappresentazione sacra dell’umanità nella sua forma più negletta. Il risultato si avvicina alla pittura sacra del 1600, con i suoi contrasti drammatici, ma le foto in mostra sono delicate e rispondono esattamente a quella che era l’idea iniziale. La mostra ha aperto a Firenze dove ha già avuto molto successo; il direttore dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, vista l’esposizione ha voluto portarla a Roma dove si trova esposta attualmente, fino al 3 marzo.
Ce ne parla Adamo Antonacci.
Com’è nato il progetto e con che finalità?
«Il progetto è nato diversi anni fa leggendo un libro molto bello e molto duro di Elie Wiezel, La notte, che narra le vicissitudini dell’autore in un campo di concentramento. In un passo molto drammatico i nazisti decidono di uccidere sulla forca un bambino e costringono tutti i deportati ad assistere alla scena. In quella situazione ci si chiede dove sia Dio, ed è lo steso Wiezel a rispondere che Dio è quel bambino sulla forca.
Grazie a questo passaggio ho pensato che Dio si rivela spesso laddove noi vediamo la sua negazione. Ho pensato anche alla disabilità: dove noi per secoli abbiamo visto la negazione della presenza divina c’è invece un suo modo di rivelarsi. Il significato della mostra è proprio questo: attraverso la disabilità noi possiamo vedere delle possibile rivelazioni di Dio».
Da qui è nato il progetto fotografico. Come è stato sviluppato?
«Innanzitutto all’inizio avevo paura che il lavoro potesse non essere compreso, non era facile spiegare che cosa volessi fare. Ora che si vedono le immagini pronte si capisce subito, ma spiegarlo a voce è stato complicato. La prima cosa che ho fatto è stata andare in questa associazione di Empoli che si chiama Noi da grandi che accoglie genitori con ragazzi portatori di disabilità. Ho spiegato a loro il progetto cercando di capire se fosse fattibile e se i ragazzi fossero disposti a fare da modelli per questo tipo di lavoro artistico. La risposta è stata entusiasta, così ho contattato alcuni artisti, scenografi, costumisti e il fotografo Leonardo Baldini con cui abbiamo realizzato tutta la mostra».
Raggiunto il risultato, pensa si tratti di più di una riflessione sulla disabilità o sulla sacralità?
«Io spero che risulti una riflessione su entrambe le cose. La disabilità come rivelazione del divino e l’arte sacra che ha ancora tantissimo da dirci e che ha tutt’oggi una portata rivoluzionaria».