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Il sud del Libano potrebbe essere lo scenario di una nuova guerra. Questa frase, che si sente ripetere da anni, in questi ultimi giorni ha assunto una dimensione molto più concreta rispetto ad altre volte. L’abbattimento di un drone iraniano nello spazio aereo di Israele e quello di un F-16 israeliano che aveva appena colpito una base aerea siriana hanno segnato un punto di estrema tensione. Tuttavia, non si tratta di un’escalation improvvisa, perché da mesi la situazione nelle aree tra Siria, Libano e Israele, alcune contese e altre già segnate in passato da conflitti, è fortemente instabile.

Gli ultimi due anni di guerra in Siria hanno visto rafforzarsi l’asse che collega Teheran, Damasco e Beirut e che è guidato dal regime iraniano con la diretta collaborazione russa: una minaccia che Israele considera inaccettabile, soprattutto perché ritiene Teheran e le milizie libanesi di Hezbollah come una diretta minaccia alla propria sicurezza nazionale. Episodi come quelli di sabato non fanno altro che alimentare il rischio che si passi a una condizione di guerra vera e propria, che questa volta potrebbe coinvolgere il sud del Libano, già teatro nel 2006 di un conflitto durato 34 giorni. «La mia percezione – racconta Marco Pasquini, direttore della cooperativa Armadilla e Senior Advisor per UNDP Lebanon per la Cooperazione Territoriale – così come quella di amici e colleghi, sia libanesi sia siriani, è che ormai da tempo si stanno creando i presupposti affinché una nuova azione di guerra sufficientemente violenta si estenda dalla Siria al Libano. Lavorando in Siria, a Damasco, e anche in Libano, specialmente nel sud, ci accorgiamo che le sensazioni e le voci più diffuse vanno in questa direzione. I rappresentati dei vari municipi, che hanno una sensibilità maggiore rispetto ai vertici di Beirut, sentono la tensione aumentare giorno dopo giorno».

Perché un’accelerazione proprio ora?

«Il motivo è abbastanza banale: la situazione in Siria, anche se non definitivamente chiusa, sta vedendo perdere la parte occidentale, ovvero gli alleati di Israele e i Paesi del Golfo. Per contro, stiamo vedendo un rafforzamento dell’Iran dentro il territorio siriano e di conseguenza un contatto più forte con il sud del Libano, controllato dalla componente Hezbollah. Inoltre anche la Turchia si sta nuovamente schierando. Prima o poi si cercherà di uscire da questa morsa, ma la sensazione è che lo si farà cercando di incidere sulla componente che in Occidente si considera più debole, ovvero Hezbollah. La nostra grande preoccupazione è che prima o poi possa succedere qualcosa nel sud del Libano. Inoltre le dichiarazioni di lunedì da parte del governo israeliano sono abbastanza eloquenti: il presidente libanese Michel Aoun aveva detto che un eventuale attacco di Israele non verrà considerato, come invece fu nel 2006, un intervento di difesa contro le azioni di Hezbollah, ma sarà considerato un attacco al Paese. Di conseguenza Israele ha risposto che tutto il Libano verrà dunque considerato un nemico. Insomma, la situazione è davvero critica».

C’è qualche attore internazionale a cui guardare con particolare interesse in questo momento?

«Per rispondere è necessario aprire una parentesi: non possiamo, arrivati a questo punto, considerare il Medio oriente fuori dal sistema internazionale. È molto significativo quello che è successo all’apertura dei Giochi olimpici invernali in Sud Corea: un’operazione di alta diplomazia cinese ha portato a un contatto e alle prime fasi di calo di tensione da parte delle due Coree; come avete visto la reazione degli Stati Uniti non è stata affatto entusiasta. Ecco, Washington non riconosce questa azione non perché non sia buona, ma perché non vede gli Stati Uniti come attore principale. Questa dinamica, vista da qui, ci fa temere che avendo perso priorità e visibilità nel lontano Oriente gli statunitensi vogliano riproporsi sullo scacchiere mediorientale. La Cina in Medio oriente è stata fino a oggi molto nascosta, ma credo che nel momento di apertura di un conflitto importante metterà la propria parola, quindi è da tenere sotto osservazione».

Non si può in questo momento parlare dello scenario mediorientale senza tenere in considerazione la Russia, che oltre all’influenza sull’Iran ha sviluppato rapporti non conflittuali anche con Israele. Potrebbe essere decisiva la sua mediazione?

«In questo momento l’interesse della Russia è centrato solo sulla Siria. Lo si è visto anche con le parole del ministro russo del Commercio, che ha parlato di aprire l’offerta internazionale ai Brics per la ricostruzione del Paese. Onestamente non so quanto la Russia in questo momento possa pensare a una sua discesa in campo nel caso di un eventuale attacco nel sud del Libano».

E la Turchia, invece?

«La Turchia ha fatto tre volte il salto mortale. Prima del conflitto erano i primi partner del governo di Assad, poi durante la guerra sono diventati i loro peggiori nemici, tant’è vero che l’incremento dei terroristi internazionali entrati in Siria è avvenuto con il passaggio da quel confine.

Oggi invece la Turchia ritorna un’altra volta sui suoi passi e ritrova un accordo sul binomio russo-iraniano. Insomma, la situazione rispetto al 2006 è totalmente cambiata».

Ma è cambiata anche nel teatro del possibile conflitto, cioè il confine meridionale del Libano?

«Nel 2006 il confine libanese-israeliano era completamente isolato, mentre oggi abbiamo migliaia di caschi blu a difesa della separazione territoriale: un’eventuale escalation oggi porterebbe a una crisi internazionale molto grande, e come ci si muoverà nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Innanzitutto la Cina sicuramente si asterrà o voterà contro a qualsiasi situazione militare. Bisognerà poi vedere come si muoveranno altri Paesi, per esempio il Regno Unito, visto anche le ultime dichiarazioni del governo rispetto a Hezbollah. Bisognerà però vedere come si modificherà il peso delle varie componenti».

Dopo 7 anni di guerra in Siria e con una regione già ampiamente destabilizzata, non crede che un nuovo conflitto sarebbe sin da subito insostenibile per la popolazione civile?

«Tragicamente, la situazione umanitaria non è mai stata prioritaria, non sarà questo il motivo per cui magari si eviterà una nuova guerra.

Ricordiamoci però che questo nuovo conflitto questa volta avrà come scenario il Libano, non la Siria. La Siria ormai è militarmente occupata e non c’è nessun interesse di Israele a confrontarsi sul territorio siriano con gli iraniani. L’interesse è quello di aprire un nuovo fronte per rompere l’asse, considerato demoniaco, costituito dall’Iran di Khamenei, la Siria di Bashar a-Assad e Hezbollah, un asse che dall’Iran raggiunge il Mediterraneo. In questa situazione però teniamo conto che si aggraverebbe la situazione del Libano, che già è complicata, perché il Libano, oltre alla popolazione civile che da oltre 40 anni subisce ogni tanto una guerra, sta ospitando oltre un milione di profughi siriani, oltre alle centinaia di migliaia di palestinesi nei campi, dimenticati».

Immagine di Marco Magnano

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