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Fare memoria significa (anche) parlare di oggi

Quando si racconta la Shoah ai bambini entrano in gioco soprattutto la conoscenza della Storia ma anche il senso di giustizia, l’importanza della scelta: e può venirci in aiuto anche Harry Potter…

Con l’avvicinarsi del giorno della Memoria si riflette come ogni anno sulla tragedia della Shoah e delle persecuzioni degli ebrei, temi che purtroppo non smettono di essere attuali. Lia Tagliacozzo, giornalista e scrittrice, da diversi anni parla agli studenti di questi argomenti e ne scrive. Alla fine del 2017 ha pubblicato per EL un libro sulla Shoah nella serie «Che storia!», dedicata ad alcuni topos della storia e della cultura, dalle piramidi egizie all’11 settembre, dalla guerra di Troia al primo uomo sulla luna. «Non sono capace di fare fiction sulle storie legate alla Shoah e alle leggi razziali – ci racconta –, quindi parto sempre da storie vere, magari da un’intervista, poi le calo in un contesto narrativo».
Già autrice di due libri per ragazzi (Anni spezzati e Il mistero della buccia d’arancia) sulla storia della sua famiglia, che fu vittima delle persecuzioni antiebraiche, ci racconta che l’impulso di scrivere queste storie per i bambini esprime per certi versi il desiderio di averle apprese lei stessa da piccola: «Nella mia famiglia si è cercato di proteggersi sostanzialmente con il silenzio, io sono venuta a conoscere diverse di queste storie da adolescente. Il trauma di chi ha vissuto quell’epoca si ripercuote su tutta la sua vita e si trasmette alle generazioni successive, addirittura alla terza generazione. Per me vedere le reazioni dei miei figli è stato fondamentale nell’impulso di continuare a scrivere le storie della nostra famiglia».
Esaurito in un certo senso il filone familiare, con «Che storia!» l’autrice ha riunito in questo piccolo libro storie a lei comunque vicine, tra cui quella della propria nonna, la maestra Lina esclusa dal suo ruolo perché ebrea, e di Giacinto, voce narrante e nonno di uno dei tre piccoli protagonisti, ma anche di Anna Maria Levi, sorella di Primo e staffetta partigiana.
L’aspetto interessante è l’aver calato una storia del passato in un contesto attuale e ben noto ai piccoli lettori, legando la questione della discriminazione al comportamento dell’allenatore di calcio che esclude dal gioco uno dei tre ragazzini perché sovrappeso.
Questo spunto narrativo porta a interrogarci su una delle questioni fondamentali: com’è possibile raccontare, spiegare la Shoah ai bambini? Tagliacozzo è convinta che «gli strumenti per capire siano l’avvicinarsi alle storie ma soprattutto la studio della Storia, anche se è molto difficile chiedere ai bambini di orientarsi tra questi due livelli. Anche loro hanno diritto alla verità, quindi ho cercato il modo di raccontare queste storie di morte e distruzione senza lavorare solo sulla cifra emotiva, lo shock. Non è giusto nei loro confronti, e non è nemmeno funzionale, pensare che lo shock sia il metodo per impedire il ripetersi di fatti simili».
Ci sono poi altri due elementi, continua l’autrice: «Dalla mia esperienza nelle scuole ho imparato che la qualità dell’ascolto cambia se si racconta la propria storia, in prima persona, ed è quello che ho cercato di fare nel libro. È importante parlare in questo momento politico, storico e culturale, in cui il razzismo e la xenofobia escono dai luoghi in cui speravamo fossero stati chiusi per sempre, un momento in cui esponenti politici usano termini che fino a poco tempo fa erano tabù. Poi c’è il nocciolo della questione: è importante, nel proporre ai bambini e ai ragazzi memorie così dolorose, affermare che persino allora c’era la possibilità di scegliere da che parte stare. Se si hanno dei valori occorre scegliere in conformità a questi valori».
Questo è l’insegnamento trasmesso da nonno Giacinto ai bambini, indecisi su come comportarsi di fronte alla palese ingiustizia commessa dal maestro di ginnastica e desiderosi di aiutare l’amico discriminato: ma la scelta, la presa di posizione non è così facile, come testimonia Tagliacozzo: «Quando chiedo ai bambini da che parte vorrebbero stare, se da quella del signore che soccorre gli ebrei o dalla parte dei colleghi e dei conoscenti della maestra Lina che la emarginano, i bambini giustamente si schierano dalla parte di chi ha aiutato. Ma la questione è più complessa: se qualcuno bussasse alla tua porta, di notte, inseguito, che cosa faresti? Mi è capitato di parlare in un liceo della storia di mio nonno, deportato per la delazione di un amico, e un ragazzo mi ha detto che forse anche lui avrebbe fatto così, se i soldi della delazione avessero aiutato la sua famiglia. Di fronte a queste risposte si capisce la necessità di riflettere, perché è facile quando tutti si schierano dalla parte dei buoni… Non possiamo permettere che i nostri ragazzi crescano senza avere ragionato e studiato su questi temi, cercando di allargare il più possibile la prospettiva: capire che cosa è successo, ma anche capire che le grandi questioni etiche e culturali sono trasversali e non si sono risolte il 27 gennaio 1945 con la liberazione di Auschwitz…».
Oggi i più giovani si approcciano a queste vicende in modi diversi, basti pensare alla composizione multiculturale delle classi, alle diverse esperienze (anche traumatiche) vissute: anche la narrazione della Shoah si arricchisce di sfumature. Una questione importante, per Tagliacozzo, è stabilire dei riferimenti comuni: «La questione è proporre loro delle opzioni che rientrano nel loro campo d’esperienza: potrà sembrare un discorso superficiale, ma Harry Potter è una metafora straordinaria per fare riflettere i ragazzi sul tema della discriminazione razziale (la distinzione tra maghi e babbani, la questione dei mezzosangue) o sull’importanza di citare le cose con il loro nome, senza paura: sforzarsi di parlare (nel libro) di Voldemort, o di fascismo, di libertà, di resistenza. Raccontare tutte queste cose diventa più facile se c’è un mezzo di trasmissione…».
Parlare di cose che già conoscono rende più semplice avvicinare i più giovani a concetti e realtà complesse come la lotta contro il male, la scelta tra giusto e sbagliato, l’obbedienza alle regole o la trasgressione per un bene comune, la necessità di fare scelte difficili… «I bambini hanno paura ma anche un grandissimo senso della giustizia, ed è su questo che dobbiamo lavorare», è la conclusione di Tagliacozzo.

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