La totale partecipazione del Cristo alla condizione umana
22 gennaio 2018
Un giorno una parola – commento a Apocalisse 2, 8-9
Egli conosce i pensieri più nascosti
Salmo 44, 21
Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita: «Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà»
Apocalisse 2, 8-9
Con poche parole, strettamente essenziali, ci viene presentato il Cristo, come il primo e l’ultimo, l’inizio e la fine, colui che tutto comprende o ricomprende. Nulla, dunque è al di fuori del suo controllo. Comprendere così Cristo va oltre una definizione filosofica, tipo motore immobile di aristotelica memoria, o semplicemente temporale; non è il dio Crono dei greci. Non guarda la realtà sotto di lui con aristocratico distacco.
Egli fu morto e tornò in vita. In questo suo morire e risuscitare c’è il centro del messaggio cristiano, espresso come fatto potente ed eccezionale, e c’è anche la totale partecipazione del Cristo alla condizione umana, ai dolori di questa umanità che sperimenta ogni giorno la morte e che solo guardando a Cristo può sperare in una resurrezione, in una vita nuova, eterna, da gustare come caparra sin da subito, qui ed ora. L’epistola agli Ebrei presenta questi concetti con molta chiarezza, sottolineando che Gesù ci è stato solidale: non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato (Eb 4, 15).
Gesù dunque può dire con piena cognizione: Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà. Qui sentiamo l’eco delle parole che Dio riferisce a Mosè, quando lo manda dal Faraone a chiedere la liberazione dei figli di Israele. Ecco come si espresse il Signore: Ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani (Es 3, 7). Il Signore risorto si conferma degno figlio salvatore del Dio che ha voluto la liberazione di Israele e che continua a guardare con benignità la nostra condizione umana.