L’autodeterminazione delle donne è un principio irrinunciabile
19 gennaio 2018
La Gestazione per altri al centro dei due giorni di lavoro delle diacone e pastore battiste, metodiste e valdesi
Uno degli argomenti affrontati nell’aggiornamento ricco e stimolante delle pastore e diacone battiste, metodisti e valdesi – BMV - (tenuto a Roma l’8-10 gennaio) è stata la GPA (gestazione per altri). Nella sua introduzione al tema, la pastora Daniela di Carlo ha illustrato le varie posizioni all’interno del movimento delle donne. Nella nostra discussione, pur non potendo affrontare questioni di natura legislativa, sono emersi i seguenti punti.
Pensiamo che l’autodeterminazione delle donne sia un principio irrinunciabile e non trattabile. Tuttavia rileviamo l’ambivalenza di una libertà che nei fatti si fonda tutto al più sulle proprie capacità economiche. Non possiamo che condannare lo sfruttamento del corpo delle donne e il commercio di neonati e neonate nei paesi del Sud globale a favore di un Nord ricco. Le materie bioetiche, infatti, sono attraversate di questioni di disparità e d’ingiustizia sociale. Prioritario sarebbe facilitare le procedure di adozione.
Venendo al dibattito odierno ci siamo interrogate su alcune questioni di fondo. Per esempio, ci siamo chieste se ad essere problema è la GPA in quanto tale o l’omogenitorialità?
Ci è parso, da una parte, che dietro un «Sì» assoluto alla GPA si nasconde una «mistica della paternità» per la quale un figlio è tale solo se ha un comune patrimonio genetico con il padre. Ritorna con forza – soprattutto all’interno dell’economia neoliberista – l’idea del figlio come proprietà e continuazione di sé invece di considerarlo all’interno di una comunità più ampia di relazioni.
Dall’altra parte, però, dietro un rifiuto assoluto alla GPA abbiamo individuato una «mistica della maternità» la quale sostiene la benevolenza fondamentale della relazione madre-figlio/a. Tale presunta benevolenza non solo non corrisponde all’esperienza pastorale ma rischia anche di definire le donne a partire dalla maternità. Da anni, infatti, le donne lottano per liberarsi da un’identificazione con la «natura» o la «generazione» tout court. Ci sembra importante non inchiodare i generi a ruoli stereotipati per poter accogliere tanto la libertà femminile quanto le capacità delle nuove generazioni di uomini di vivere ruoli paterni di cura e tenerezza.
Vorremmo riconoscere l’importanza della relazione tra madre e figlio o figlia mettendo in evidenza, però, che la relazione (a differenza della fusione) è possibile solo dopo aver riconosciuto l’alterità della piccola creatura.
Siamo consapevoli che la GPA interroga già le nostre chiese, per esempio, attraverso le richieste di battesimo e presentazioni di bambini e bambine nati e nate in questo modo. È evidente che in tale caso le chiese non sono chiamate a pronunciarsi su stili di vita bensì a compiere un gesto liturgico che metta al centro la bambina o il bambino.