Un premio che è un onore e una responsabilità
19 dicembre 2017
La presidente dell'Opcemi Mirella Manocchio commenta l'importante riconoscimento ricevuto dalle chiese metodiste in Italia per l'impegno a fianco dei migranti
«Un grande onore, ma anche una grande responsabilità». Mirella Manocchio, presidente dell'Opcemi (l'Opera per le Chiese evangeliche metodiste in Italia) non nasconde la soddisfazione per il prestigioso "World Methodist Peace Award", il "Premio per la pace" attribuito dal Consiglio mondiale metodista proprio all'Opcemi nel 2017.
«È una grande responsabilità - spiega Manocchio - perché il lavoro deve continuare, non possiamo fermarci. Dobbiamo mettere un impegno ancora maggiore e puntare su una collaborazione ancora più forte e più stretta con i nostri partner nazionali e internazionali».
La scelta è caduta sulle chiese metodiste italiane per «l'impegno e il lavoro a fianco di migranti e rifugiati, a partire dal 1989. Questa piccola chiesa ha mostrato grande coraggio di fronte alla crisi di donne, uomini e bambini che giungono in Europa da varie parti del mondo. Quando molti hanno affermato che i problemi erano insormontabili, l’atteggiamento dell'Opcemi è stato assai differente e l’impegno è stato grande nel tentare di offrire una risposta. Il lavoro della chiesa ha attraversato i decenni, sono stati accolti migranti da Siria, Iraq, Medio Oriente, Africa, di fede protestante, cattolica e musulmana».
Un premio, come tiene a sottolineare Manocchio «vinto insieme alla Chiesa valdese con la quale abbiamo un patto di integrazione». D'altronde, come si legge in una nota delle chiese metodiste italiane «un filo rosso lega quanto fatto dall'Opcemi negli anni '80 e '90 (localmente e a livello nazionale) con il progetto Mediterranean Hope della Federazione chiese evangeliche (Fcei) di cui l'Opcemi è uno dei membri fondatori. In questo quadro si comprende la collaborazione della chiesa metodista locale e dell’Opera diaconale metodista di Scicli con la Casa delle culture creata a Scicli dalla Fcei».
Un lavoro importante, una serie di sinergie e di sforzi in comune con partner ecumenici (come nel caso, felicemente contagioso, dei corridoi umanitari, che Manocchio definisce «un pungolo anche per altre chiese europee») per offrire accoglienza ai migranti «facendoli sentire parte dei luoghi dove si ritrovano a vivere, facendoli sentire a casa e permettendo loro di vivere in maniera dignitosa. Fare in modo che queste persone mantengano e recuperino la loro dignità».
Certamente, è necessario un impegno per «alleviare le situazioni di povertà e di violenza che queste persone vivono nei loro paesi d'origine», ma la prospettiva di Manocchio e dell'Opcemi è assai diversa da quella scelta dal governo italiano nell'accordo con le autorità libiche. «È un accordo al ribasso - dice Manocchio – non si risolve la questione dell'immigrazione bloccando i migranti dove non ci sono i diritti minimi della persona. Non può essere la soluzione di tutto questo bloccarli lì, è come voltarsi dall'altra parte».