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Le Alpi occidentali sono uno storico luogo di passaggio. Senza scomodare Annibale e i suoi elefanti più di duemila anni fa, si può dire che il “confine naturale” rappresentato dalle montagne sia stato più spesso motivo di unione che di separazione tra gli abitanti dei due versanti.
Eppure, per le migrazioni contemporanee le montagne sono più simili a un muro. Da Ventimiglia a Como, sono ritornate le frontiere tra l’Italia e la Francia, almeno per i migranti. Non fa eccezione Bardonecchia, il comune più occidentale d’Italia, diventato nell’ultimo anno un luogo di transito sempre più rilevante.
In estate, passare da Bardonecchia a Nevache attraverso il Colle della Scala non è né difficile né lungo, e da lì procedere poi verso Briançon e via via in direzione delle città più grandi, ma durante l’inverno tutto si complica: il colle, infatti, rimane chiuso per tutta la stagione a causa delle condizioni meteo. Nonostante questo, in questi primi mesi freddi il transito di richiedenti asilo attraverso Bardonecchia non si è azzerato, ma al contrario i numeri sono decisamente superiori rispetto allo scorso anno. Di conseguenza, anche gli incidenti dovuti alle difficoltà del clima sono in aumento.
Mentre per il sindaco di Oulx «i migranti nelle stazioni non sono affatto un problema», è chiaro che la situazione non può che essere provvisoria, né può essere trattata soltanto come una questione di ordine pubblico. Alla base di tutto, rimane l’inefficienza del regolamento di Dublino, che affida la competenza dell’esame della richiesta d’asilo al Paese di primo ingresso, incentivando quindi tutti gli altri, Francia compresa, a chiudere le proprie frontiere e a rimandare indietro chiunque riesca ad attraversarle.
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