Quando la cultura non si arrende
07 novembre 2017
Dopo quasi tre anni di silenzio la rivista Lettera Internazionale ha deciso di ripartire rinnovandosi e valorizzando i propri contenuti e la propria storia. La nostra intervista alla direttrice, Biancamaria Bruno
Dopo quasi tre anni di silenzio, Lettera Internazionale – rivista trimestrale europea di cultura, creata nel 1984 da Antonín Liehm, intellettuale e dissidente ceco, che concepì una rete di riviste culturali con lo stesso nome pubblicate in vari paesi europei nelle rispettive lingue – ha deciso di ripartire rinnovandosi e valorizzando i contenuti della sua storia.
«Stiamo avviando un progetto di digitalizzazione completa dei centoventi numeri pubblicati della rivista per realizzare una biblioteca digitale, composta da più di seimila pagine – ha detto a Riforma.it Biancamaria Bruno, direttrice del trimestrale. Uno strumento di analisi, di studio e di nuova narrazione del mondo, che ci consenta di riprendere la nostra riflessione sull’Europa, in un momento di obiettiva difficoltà politico-culturale del nostro continente».
Lettera Internazionale, come tante altre riviste di cultura, è stata penalizzata dalla «crisi generalizzata» di questi ultimi anni. Questa condizione può essere legata esclusivamente all’editoria?
«Le crisi non sono mai solo economiche, politiche o culturali. Nella crisi si concentrano tanti nodi, tanti problemi che arrivano ad un punto in cui non esiste più una facile soluzione. Lettera Internazionale ha sofferto per l’impoverimento materiale, certamente, ma anche e soprattutto culturale, del nostro Paese. Un sistema complesso come quello dell’editoria ha bisogno che ogni fase del processo produttivo funzioni bene. Se la distribuzione non funziona, crolla tutto il sistema; se i librai non pagano, l’editore va in crisi, e via di seguito. Una possibile soluzione è produrre non più (o unicamente) su carta, ma in digitale. Il digitale semplifica enormemente le cose, perché facilita la distribuzione.
Quale spazio occupano le riviste oggi? Possono essere ancora considerate uno strumento utile per il dibattito politico e culturale?
«Ho la sensazione che i bei tempi in cui l’intellighenzia pubblicava sulle riviste e ciò contribuiva alla formazione di una coscienza civile degna di questo nome siano alle nostre spalle. La rivista di cultura è stata un filtro prezioso attraverso cui far passare le visioni, le interpretazioni del mondo. Ora non è più così. Nel mainstream, gli storici, gli analisti, i filosofi sono stati sostituiti dai giornalisti che, seppur bravi, fanno un altro mestiere e con una profondità diversa. Il pubblico è sotto il “fuoco di fila” delle tv o dell’internet più allarmista che, il più delle volte, non fornisce strumenti di crescita di alcun genere».
Le nuove tecnologie (internet, facebook, twitter, gli e-book, etc…) crede rappresentino un problema per la sopravvivenza delle riviste cartacee e l’approfondimento culturale?
«Tutt’altro. Siamo in una fase in cui non si deve buttare via niente, tutto può tornare utile. La combinazione tra carta e digitale è un passaggio che abbiamo già conosciuto in passato, quando siamo passati dall’amanuense alla stampa meccanica. Non è una novità assoluta. Dobbiamo capire come armonizzare il tutto evitando strappi troppo bruschi. È ovvio che la rivista di cultura, qualsiasi sia il suo supporto, mantiene un ruolo importante nella formazione degli individui, perché richiede tempi lunghi, verticali, contro l’informazione veloce che arriva orizzontalmente dai new media, social network. Ma sia chiaro: l’opposizione tra informazione e formazione è sempre esistita».
A tal proposito, come ricordava in apertura di questa intervista, in collaborazione con la start-up innovativa Poetronicart, realizzerete una piattaforma integrata che consentirà di accedere all’archivio di Lettera Internazionale in formato digitale con accesso libero e predisposizione all’e-commerce. Di cosa si tratta?
«Sono passati tre anni dall’uscita dell’ultimo numero di Lettera Internazionale. In questi tre anni, abbiamo cercato qualcuno che lavorasse con noi alla soluzione dei nostri problemi. È chiaro che dovesse essere un soggetto molto diverso da noi. Alla fine, lo abbiamo trovato: è Poetronicart, una start-up innovativa che lavora come connettore tra cultura ed economia. Grazie a loro, abbiamo disegnato un progetto di biblioteca digitale che permetterà di conservare, implementandoli, i contenuti dei 120 numeri cartacei della rivista. Alla biblioteca si potrà accedere secondo modalità free o in abbonamento e saranno attive varie funzionalità di organizzazione personalizzata dei contenuti; non solo: l’obiettivo sarà avere una redazione che proponga percorsi di approfondimento incrociando le esigenze dell’utente e i contenuti della rivista. Il primo passo di questo percorso è la digitalizzazione completa di tutti i numeri di Lettera».
Dunque è finito il periodo di crisi economica?
«Purtroppo no. Abbiamo pensato di finanziare questa prima fase attraverso una campagna di crowdfunding che è già attiva sul network di Poetronicart in Produzioni dal Basso. Al contempo, è partita la ricerca di finanziamenti istituzionali in Italia e in Europa. Abbiamo deciso di non arrenderci».
Le riviste torneranno di moda come il vinile? Crede che sia possibile un ritorno, e importante, alla lettura immersi nel profumo di carta e d’inchiostro?
«Lei pone questa domanda a una vecchia collezionista appassionata di vinili… Ciò non vuol dire che non ami YouTube o Spotify. Quello che conta – e questo vale in tutti i campi – è il valore dei contenuti. Non trovo che sia giusto fare della cultura un fatto feticistico».