Mentre nuvoloni non soltanto metaforici si addensavano nei cieli del pianeta, lo scorso 7 luglio le Nazioni Unite hanno approvato il Nuclear Ban Treaty, l’ultimo mancante all’appello della messa al bando delle armi di distruzione di massa (dopo quelli su armi biologiche, mine antiuomo, armi chimiche e munizioni a grappolo).
Un trattato che dovrebbe coronare settant’anni di sforzi per bandire per sempre la minaccia delle armi più distruttive che esistano, il cui potere deterrente è stato finora talmente forte da impedirne di fatto l’utilizzo. Ultimamente però sembra partita una preoccupante corsa agli armamenti, rendendo quanto mai necessario un atto deciso verso l’abolizione delle armi nucleari, ormai voluta dalla grande maggioranza dei Paesi.
Lo hanno dimostrato lo scorso 20 settembre i due terzi dei Paesi membri nelle Nazioni Unite, che hanno firmato il trattato (ne abbiamo parlato qui): 122 favorevoli, un solo contrario (l’Olanda), un astenuto (Singapore), ma molti si sono tenuti fuori dai giochi, come l’Italia, e tutte le nove potenze nucleari, dalla Corea del Nord agli Usa, dal Regno Unito alla Francia. Anzi, in un documento congiunto, queste ultime tre nazioni hanno affermato decisamente di non essere intenzionate a sottoscrivere il trattato, che sarà operativo 90 giorni dopo la ratifica da parte di 50 Paesi.
Negli stessi giorni sono partite diverse iniziative da parte di associazioni e chiese, per fare sì che il Regno Unito non butti all’aria decenni di campagne della società civile – tra cui ricordiamo la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican) costituita dieci anni fa, che ha riunito diverse centinaia di organizzazioni non governative, raccogliendo il favore di governi, personalità politiche, organismi ecclesiastici come il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec).
Sul quotidiano inglese The Guardian il 19 settembre compariva un appello lanciato dalla Campagna per il disarmo nucleare (Cnd) al governo britannico affinché ratifichi quello che è stato definito un trattato storico. La lettera aperta, indirizzata direttamente alla premier Theresa May, è stata sottoscritta da esponenti religiosi: Jill Baker (vicepresidente della Conferenza metodista), Malcolm McMahon (arcivescovo cattolico di Liverpool), Stephen Cottrell (vescovo anglicano di Chelmsford), Mohammed Kozbar 8vicepresidente dell’Associazione islamica britannica, Mab), Juliet Prager (quaccheri), e da esponenti del mondo politico: Caroline Lucas, parlamentare leader del partito dei Verdi e presidente Cnd, Kate Hudson segretaria generale Cnd, altri membri del Parlamento (Ronnie Cowan, Tommy Sheppard, Hywel Williams, Kelvin Hopkins), Mark Serwotka (segretario generale della Public and Commercial Services Union, uno dei principali sindacati del paese).
Il 20 settembre le chiese protestanti britanniche riunite nel Joint Public Issues Team (Jpit), Unione battista, Chiesa di Scozia, Chiesa metodista e Chiesa riformata unita, hanno pubblicato un messaggio sul sito del Jpit invitando gli elettori inglesi a inoltrarlo ai membri del Parlamento affinché si uniscano alla totale messa al bando «di ogni ulteriore sviluppo, mantenimento e uso delle armi nucleari».
Nel documento accluso, si ricorda che attualmente ci sono più di 15.000 armi nucleari nel mondo, di cui diverse migliaia pronte all’uso. Sembra scontato (ma a quanto pare non lo è) che l’esplosione anche di una sola di queste bombe porterebbe una distruzione incalcolabile, in termini ambientali, socioeconomici, sanitari, politici: «Le Nazioni unite e la Croce rossa», ricorda il documento, «hanno confermato che nessuno Stato o organismo internazionale sarebbe in grado di affrontare adeguatamente l’emergenza umanitaria, provvedere all’assistenza delle popolazioni colpite o gestire le conseguenze a lungo termine». Eppure, sembra che qualcuno fatichi a convincersi di questo.