La 72a sessione dell’assemblea generale dell’Onu, apertasi il 12 settembre a New York, ha visto almeno tre volti nuovi: Antonio Guterres, nuovo segretario generale, già primo ministro portoghese e alto commissario per i rifugiati, e due capi di Stato, Donald Trump ed Emmanuel Macron, in visita dal 18 al 20 settembre. Tre personaggi molto diversi fra loro, ognuno dei quali ha portato la propria personale visione del mondo e delle sfide che le Nazioni Unite dovranno affrontare nei prossimi mesi.
In gioco, ça va sans dire, il futuro degli accordi multilaterali (in particolare nella gestione di crisi internazionali, lotta al cambiamento climatico e sostegno allo sviluppo), soprattutto dopo che il presidente Usa ha annunciato la drastica diminuzione dell’impegno economico degli Stati Uniti in ambito Onu e un taglio del 28% al budget sulle operazioni di pace.
E Macron? Il presidente francese ha difeso a spada tratta i beni comuni quali il clima, la pace, le libertà fondamentali, la cultura e l’educazione, promuovendo l’adozione di un patto mondiale per l’ambiente.
All’ordine del giorno dell’assemblea, la discussione del primo patto intergovernativo sulle migrazioni, nonché il primo accordo internazionale per l’eliminazione dello sfruttamento e degli abusi sessuali nelle operazioni di mantenimento della pace.
Tra le novità introdotte dal segretario generale, in carica da nove mesi, la creazione di un Alto Consiglio sulla mediazione, composto da leader politici, alti funzionari ed esperti, che lo affiancheranno «mettendo insieme le loro competenze ed esperienze, contatti e conoscenze nel campo della mediazione».
Guterres ne ha annunciato la nascita lo scorso 13 settembre, sottolineando l’importanza della mediazione come «parte della propria strategia di diplomazia per la pace», che intende dare priorità al lavoro di mediazione e prevenzione dei conflitti. Attraverso il lavoro di questa commissione, l’auspicio delle Nazioni Unite è di poter «lavorare in modo più efficace a livello territoriale con le organizzazioni, gruppi non governativi e tutti i vari soggetti coinvolti in questo ambito».
Ci sarà molto lavoro per i 18 membri della Commissione, molte donne e molti già operativi nell’Onu: oltre alla presidente Michelle Bachelet (presidente del Cile e prima direttrice esecutiva dell’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile - UN Women), ne fa parte anche l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, che si è detto «onorato di fare parte di questo nuovo organismo e di pregare perché esso contribuisca alla pace e alla riconciliazione globale».
Gli altri membri sono Radhika Coomaraswamy (avvocata dello Sri Lanka), Leymah Gbowee (Liberia, premio Nobel per la pace), Jean-Marie Guéhenno (diplomatico francese), Tarja Halonen (prima donna a essere stata presidente della Finlandia), David Harland (neozelandese, direttore esecutivo del Centro per il dialogo umanitario), Noeleen Heyzer (Università di Singapore), Nasser Judeh (senatore in Giordania, già vice-primo ministro), Ramtane Lamamra (già ministro degli Affari esteri in Algeria), Graça Machel (prima ministra dell’Educazione in Mozambico), Asha-Rose Migiro (alta commissaria per la Tanzania nel Regno Unito, già ministra degli Esteri), Raden Mohammad Marty Muliana Natalegawa (già ministro degli Affari esteri in Indonesia), Olusegun Obasanjo (già presidente della Nigeria), Roza Otunbayeva (prima presidente del Kyrgyzstan), Michèle Pierre-Louis (già primo ministro ad Haiti e ministra della Giustizia e pubblica sicurezza), José Manuel Ramos-Horta (già ministro degli Esteri, primo ministro e capo di Stato di Timor-Leste, premio Nobel), Gert Rosenthal (prima ministra degli Esteri in Guatemala).