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La crisi del Venezuela è stata al centro del dibattito per molti mesi e ha caratterizzato gran parte del 2017, ma sembra essersi un po’ spenta, almeno a livello narrativo. Durante l’estate le proteste, le vittime e i colpi di mano avevano toccato il loro apice, poi improvvisamente sono andati affievolendosi e la questione venezuelana è scomparsa in gran parte dalle cronache. A fine agosto l’amministrazione Trump ha emanato sanzioni molto dure per il Venezuela, che impediscono di incassare i dollari dalla vendita di petrolio agli Usa e la compravendita di titoli della compagnia petrolifera statale venezuelana. Motivo per cui Caracas ha deciso di indicare il prezzo medio del petrolio in yuan cinesi. Ieri Donald Trump ha auspicato il ritorno della libertà e della democrazia in Venezuela.

Tornando alle proteste degli ultimi mesi, con Carlo Cauti, giornalista italiano con base a San Paulo in Brasile, narratore molto attento alle questioni venezuelane, cerchiamo di capire l’evoluzione di questo periodo.

Cosa è successo in questi mesi e cosa ha portato allo spegnimento delle proteste?

«Fondamentalmente le proteste sono scemate e anche il numero dei morti si è ridotto progressivamente, perché le posizioni hanno perso forza naturalmente, in quanto ormai il governo controlla tutti i gangli della vita politica del paese, e l’Assemblea Costituente ha preso anche il controllo legislativo, che era l’unico bastione ancora in mano alle opposizioni. Queste ultime hanno perso la speranza che qualcosa possa cambiare. Il governo ha immediatamente fatto arrestare i vari leader dell’opposizione come Leopoldo Lopez, che era già stato arrestato, poi liberato, poi di nuovo incarcerato: la repressione è iniziata immediatamente dopo l’elezione dell’Assemblea Costituente, che non è stata legale dal punto di vista dei criteri internazionali minimi e la cui composizione naturalmente è di soli soggetti legati al governo di Maduro».

La nomina dell’Assemblea Costituente è del 30 luglio: è quello il momento della sconfitta delle opposizioni?

«Non è che le opposizioni abbiano perso, non hanno proprio partecipato. Le regole per l’elezione dell’Assemblea erano state disegnate ad hoc per permettere il controllo totale e assoluto alle forze del governo e le opposizioni hanno boicottato questa elezione. Anche se avessero partecipato avrebbero perso (pur vincendo) perché la maggior parte dei seggi erano pre assegnati a membri di organizzazioni chaviste, come i colectivos e organizzazioni di base dominate dal partito. Dopo la morte di Chavez, l’ultima volta che si è votato in maniera libera in Venezuela, nel 2013, le opposizioni avevano vinto. Il governo, preoccupato da questa situazione ha cercato di boicottare e neutralizzare questa forza in tutti i modi possibili e l’ultimo è stato l’elezione della Costituente».

Anche le opposizioni hanno le loro colpe, non hanno fatto tutto al meglio, legandosi ad alcuni ambienti militari particolari. Può essere anche questa la causa della loro sconfitta o solo la forza del chavismo?

«Anche nelle opposizioni non ci sono santi, in Venezuela. Il ricordo del tentativo di golpe nel 2002 contro Chavez è ancora molto forte nella memoria collettiva e alcuni settori delle opposizioni hanno appoggiato senza dubbio quel tentativo di rovesciamento. Sta di fatto che ciò che è stato fatto in seguito dal governo è altrettanto ingiustificabile, sotto alcuni aspetti, per quanto riguarda la tenuta democratica del paese. Le opposizioni hanno una parte di responsabilità in alcune scelte fatte in passato, ma non possiamo accusarle di cose commesse 15 anni fa, poiché non sono nemmeno un partito unico, spesso le parti sono in contrasto tra loro. Non dimentichiamo la questione, che si percepisce molto in America Latina, della poca attenzione alle estreme differenze sociali, e che le opposizioni venezuelane probabilmente hanno ignorato maggiormente rispetto ad altri stati».

A questo punto Maduro ha di fronte a sé la strada spianata: ma il destino del chavismo è davvero segnato e il Venezuela andrà alla deriva da solo?

«Escludendo un’operazione militare, che sarebbe rifiutata dai paesi vicini perché in Sud America non si lavora così, ma che non sarebbe neanche possibile a livello internazionale, la domanda è se da un punto di vista politico isolare il paese potrebbe avere un effetto positivo. Qui le opinioni divergono, guardando alla Corea del Nord, isolata ormai ma che continua ad avere problemi; l’isolamento non porterebbe alla caduta del regime ma potrebbe facilitare la vita agli strumenti repressivi, poiché non ci sarebbe neanche un controllo indiretto da parte della comunità internazionale. Rimane la soluzione economica, ma sarebbe il colmo, perché il Venezuela ha le più grandi riserve di petrolio conosciuto del mondo ed è uno dei principali mercati di importazione per gli Stati Uniti, dunque non si possono tagliare i ponti economici in questo modo. I problemi sono molto complessi, le risorse sono non indifferenti e dunque la politica internazionale deve considerare tutti i fattori in campo».

Immagine: By Efecto Eco, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=59814740

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