Fonte: Joël Burri/Protestinfo
È stata tra le prime persone a recarsi a Chibok, nel nord-est della Nigeria, per consolare le famiglie delle 276 liceali rapite da Boko Haram nell’aprile 2014. Rebecca Dali ha ricevuto, lo scorso lunedì 21 agosto a Ginevra, il premio «Sergio Vieira de Mello», il premio delle Nazioni Unite per i diritti umani, per il lavoro dell’associazione da lei fondata, un Centro per la cura, l’emancipazione e le iniziative a favore della pace (Ccepi – Centre for Caring, Empowerment and Peace Initiatives). In questa regione dove il gruppo terrorista semina il terrore, l’organizzazione porta cure mediche a chiunque ne abbia bisogno, indipendentemente dalla sua religione, lotta contro l’Hiv, e sostiene le persone più vulnerabili come le vedove.
Laureata in etica e filosofia, Rebecca Dali è moglie del presidente della Chiesa dei Fratelli della Nigeria, di cui faceva parte la maggioranza delle studentesse rapite (la più numerosa al mondo, con più di 100.000 membri, membro del Cec dal 1985; le sue chiese a Maiduguri, città principale nell’estremo nord-est del Paese, sono state distrutte da Boko Haram nel 2009 ndr). Dali è stata lei stessa vittima delle violenze islamiste che regnano nel paese. Dal 2011 è senza notizie del figlio diciottenne, scomparso nel nulla dopo essere andato a trovare un amico. Nell’agosto 2014, poi, è stata rapita e rilasciata da Boko Haram, e nel settembre dello stesso anno ha dovuto fuggire insieme al marito dalla casa occupata dai terroristi.
La sua storia ha colpito Illia Djadi, giornalista per il World Watch Monitor, agenzia che riporta le violenze perpetrate contro i cristiani nel mondo, che l’ha incontrata nel 2015, recandosi in Nigeria per condurre un’inchiesta sui rapimenti. «Sapevo che le ragazze erano in gran parte legate alla Chiesa dei fratelli, quindi ho preso contatti con essa», spiega. Colpito dall’impegno di Rebecca Dali, ha scritto diversi articoli su di lei: «Le ho detto che meritava il Premio Nobel per la pace, per il lavoro che fa con persone di tutte le religioni. Nel 2015 ho assistito alla consegna del premio “Sergio Vieira de Mello” a tre leader religiosi che operano per il dialogo nella Repubblica Centrafricana, e questo mi ha dato l’idea di presentare Rebecca Dali alla giuria».
Questa visibilità non sarà pericolosa? Non c’è il rischio di rappresaglie? Illia Djadi non è eccessivamente preoccupato: «La signora Dali conosce la gente di Boko Haram, e loro conoscono lei, sanno che aiuta i cristiani come i musulmani. D’altro canto quando è stata rapita è stata presto liberata, prova che il suo lavoro è rispettato». È anche possibile che i terroristi temano le maledizioni che attirerebbero su di sé attaccando una «donna di Dio».