Segantini e i pittori della montagna
28 luglio 2017
Tre generazioni di pittori a confronto con un soggetto suggestivo e simbolico che porta verso l’alto
Ad Aosta, fino al 24 settembre, è allestita la mostra Segantini e i pittori della montagna che ha come protagonista principale il grande esponente della pittura divisionista Giovanni Segantini, che dal secondo Ottocento ha influenzato con la sua arte molti pittori successivi. Quello della montagna è un percorso verso l’alto che non manca di avere dei rimandi alla spiritualità: la ricerca dell’altezza come viaggio verso il divino, un aspetto che non manca nella pittura di Segantini e che si svilupperà ulteriormente nelle sue opere simboliste.
Ce ne parla Daria Jorioz, dirigente della struttura Attività espositive della Sovrintendenza per i beni e le attività culturali della regione Valle d’Aosta.
Come potremmo descrivere la pittura e il tipo di espressione di Segantini?
«Lui è un divisionista, ma in realtà nasce con una tavolozza più pastosa, ottocentesca. La sua ricerca della luce si evolve poi nella tavolozza che diventerà divisionista.
La mostra ha una sala interamente dedicata a Segantini in un periodo specifico della sua ricerca, quello della Brianza, quindi il periodo giovanile, indicativamente dal 1881 al 1886».
Come mai partire da lui per parlare di montagna?
«Perché è un grande innovatore per quanto riguarda la scelta della montagna come soggetto principale. Per Segantini la montagna è dimensione creativa e di ispirazione e quindi rimane sempre centrale nelle sue opere; la mostra suggerisce un percorso attraverso la pittura di montagna tra il XIX e il XX secolo perché lui è un antesignano da questo punto di vista. Non vede più la montagna come la vedevano i pittori del Settecento e i pre-romantici, cioè come qualcosa di lontano e oscuro da conquistare alpinisticamente, ma vede la montagna come ambiente all’interno del quale vivere e quindi anche come dimensione interiore.
La sa opera ha avuto una grande influenza e questo si vede attraverso il percorso espositivo in Vittore Grubicy, Longoni, Carlo Fornari, Giuseppe Pellizza da Volpedo e poi in Delleani, Maggi e molti altri. Sono tutti pittori che raffigurano la montagna, molti direttamente e molti indirettamente, con l’influenza di un grande maestro come Segantini che coglie nella montagna gli aspetti atmosferici, le stagioni e la ricerca della luce che è una delle grandi dimensioni con cui si confrontano i pittori».
Quanti modi ci sono in mostra di vedere e ritrarre la montagna?
«I due curatori, Filoppo Timo e Daniela Magnetti, hanno selezionato insieme a me quello che è il percorso, cioè opere di tutte e tre le generazioni. Sono oltre quaranta i pittori in mostra che hanno raffigurato la montagna, alcuni di questi hanno raggiunto la grande notorietà, altri sono molto importanti ma magari meno conosciuti dal grande pubblico, come Maggi, Roda o Delleani. Abbiamo anche Carlo Fornara che è un allievo di Segantini, che quindi l’ha conosciuto e ha seguito le sue orme, così come i fratelli Longoni. Grubicy, che in realtà è un pittore modesto, era anche un mercante d’arte e un mecenate; l’incontro tra lui e Segantini ha decretato il successo di quest’ultimo.
Abbiamo voluto scandire delle sezioni della mostra dedicate a soggetti specifici quindi partiamo dalle vedute estive ma passiamo anche a vedere le scene di vita campestre e contadina, i paesaggi sia naturali che antropizzati, i laghi di montagna ma anche i tramonti, i notturni e le vedute invernali con la raffigurazione della neve, che è molto suggestiva nella pittura di questo periodo».