Sono giorni molto complessi per il Regno Unito, un Paese colpito dall’attentato di Londra e che si interroga sulla propria sicurezza, ma che nel frattempo non deve e non può perdere di vista l’avvio delle negoziazioni per l’uscita dall’Unione europea, il cui percorso comincerà mercoledì 29 marzo.
In quella data, infatti, Londra invierà a Bruxelles una lettera, firmata dalla premier Theresa May, nella quale si chiederà l’attivazione del meccanismo previsto dall’articolo 50 del trattato sull'Unione europea, che, secondo la definizione ufficiale, «prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall'Unione europea».
A quel punto, il governo britannico avrà due anni di tempo per completare e approvare il negoziato, scaduti i quali l’uscita dall’Unione europea sarà comunque effettiva, ma incompleta.
Nel momento in cui Londra ha annunciato la data dell’attivazione della clausola di avvio del processo di Brexit, in seno al governo scozzese ha ripreso vigore un’idea emersa dopo il voto del 24 giugno 2016 che determinò la decisione di uscire dall’Unione europea: avviare il percorso di un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese per poter rimanere in Europa. Secondo Edimburgo, infatti, la Scozia avrebbe tutti i requisiti necessari per rimanere all’interno del Trattato di Lisbona. Mike Small, editor della rivista scozzese Bella Caledonia e curatore di Scotland 2021, un libro che prova a tracciare l’immediato orizzonte scozzese all’inizio del prossimo decennio, racconta che «il 62% degli abitanti aveva votato per rimanere nell’Unione europea, e l’avvio del processo di Brexit viene vissuto come un nuovo deficit di democrazia contro gli scozzesi. Nei prossimi due giorni a Edimburgo il parlamento scozzese discuterà e voterà per tenere un nuovo referendum».
In un recente articolo pubblicato su Riforma.it, si racconta della “neutralità attiva” scelta come posizione da parte della Church of Scotland, augurandosi però che ai cittadini scozzesi venga garantito il diritto di esprimersi su questo tema.
Perché si è deciso di ricorrere nuovamente allo strumento referendario?
«L’attuale governo scozzese è guidato dallo Scottish National Party, che nel suo manifesto afferma chiaramente che, se ci dovessero essere cambiamenti concreti nello status della Scozia, allora avrebbe avviato le procedure per un secondo referendum. Ecco, ora sembra che lo scenario sia proprio quello di un cambiamento di questo tipo, e per questo la proposta otterrà quasi sicuramente la maggioranza in Parlamento grazie anche al supporto dello Scottish Green Party, che è anch’esso favorevole all’indipendenza».
Come abbiamo detto, questa è la seconda volta nel giro di pochi anni che i cittadini scozzesi sono chiamati a scegliere se rimanere nel Regno Unito o lasciarlo. Perché questa volta dovrebbe andare in modo differente rispetto al 2014?
«Penso che questa volta l’esito sarà diverso perché quando si tenne il primo referendum uno degli argomenti principali portati da chi faceva campagna per l’indipendenza era che l’unico modo che avessimo per rimanere in Europa fosse che le persone votassero per rimanere nel Regno Unito. A posteriori possiamo dire che si trattava di una grande bugia e molte persone che avevano votato “no” sono arrabbiate e infastidite, per cui il loro “no” questa volta sarà un “sì”».
Concretamente, quali sono i vantaggi per la Scozia?
«Penso che prima di tutto sia l’accesso al mercato unico europeo e al mercato dell’energia, perché la Scozia è un grande esportatore di energie rinnovabili, e poi c’è la sicurezza dei quasi 200.000 cittadini europei che vivono e lavorano in Scozia e che sono una parte molto gradita e integrata della nostra comunità. Oltre a questo, torneremmo ad avere controllo su una grande parte del nostro potere decisionale, sulla nostra economia, sul nostro commercio, sulla nostra politica estera, più in generale sul senso delle nostre azioni, che in questo momento sono ancora guidate da Londra».
In Europa la parola “identità” viene sempre più utilizzata su una dimensione nazionale e sempre meno europea. Per la Scozia in questo momento vale il discorso opposto? Ci si sente europei più che britannici?
«Penso proprio di sì, credo che la Scozia si veda a tutti gli effetti come una nazione europea, tra l’altro come una delle più antiche. Il fatto è che con la Brexit abbiamo visto un ritorno del nazionalismo inglese, che si descrive in opposizione a Francia e Germania e che ci sta portando verso una nuova xenofobia nei confronti degli europei. È una narrazione falsa e artefatta nella quale si immaginano dei terribili europei pronti a scagliarsi contro gli inglesi e i britannici in generale attraverso lo strumento della legislazione europea. Quando si parla con chi ha votato “sì” alla Brexit e gli chiedi conto di questa visione, gli chiedi se è questo che volevano ottenere con il loro voto e quali leggi nello specifico si volevano sovvertire uscendo dall’Unione europea, di solito si ottiene soltanto silenzio. Ecco, l’identità europea scozzese diventa più forte man mano che il nazionalismo inglese diventa xenofobo».
È difficile dirlo adesso, quando il processo non è neppure vicino al punto di partenza, ma lei crede che Bruxelles sarebbe favorevole alla soluzione prospettata dal governo scozzese?
«È un discorso complesso, ma credo di sì. Ci sono molti segnali positivi, un atteggiamento favorevole da parte dell’Unione europea. Il fatto che potremo garantire la sicurezza di questi 200.000 cittadini europei e risorse importanti in termini di energie rinnovabili, in un periodo in cui il progetto europeo va stabilizzato e supportato, ci dice che un Paese così piccolo potrebbe raccogliere grandi consensi e sarebbe il benvenuto. In effetti credo che la Scozia possa diventare un prezioso strumento di negoziazione tra l’Inghilterra e le altre nazioni europee».
Qual è l’orizzonte temporale di questo processo?
«Nelle prossime due settimane il parlamento scozzese deciderà quasi sicuramente di chiedere l’attivazione della Sezione 30 dello Scotland Act, che significa che al governo di Westminster sarà chiesto di permettere al governo scozzese di organizzare un referendum con valore legale e chiederà di farlo tra l’autunno del 2018 e la primavera del 2019. Ora, il governo britannico guidato da Theresa May ha la scelta di dire “no, non lo farete”, e allora il governo scozzese potrebbe decidere di fare comunque un referendum anche senza l’investitura legale, oppure Londra potrebbe dire di sì, ma tenendo per sé la scelta della data, e allora Edimburgo potrebbe trattare su questo aspetto.
Quello che il governo scozzese vuole è tenere questo referendum nell’autunno del 2018, quando conosceremo le basi dell’intesa sulla Brexit ma saremo ancora dentro all’Unione europea».
La Church of Scotland ha preso posizione su questa ipotesi?
«In questo caso non saprei. Entrambe le chiese, sia quella cattolica sia la Church of Scotland, erano rimaste ufficialmente neutrali in occasione dello scorso referendum, e quindi credo che faranno lo stesso con il prossimo, garantendo ai singoli cittadini il diritto di esprimere la propria visione».